Partiamo dai fatti. Il leader nordcoreano Kim Jong-un, nonostante l’incontro recente con Trump (avvenuto presso la Dmz, la zona demilitarizzata al confine tra le due Coree, al valico di Panmunjom) è tornato a lanciare missili a corto raggio che si sono inabissati rispettivamente a 430 e a 700 chilometri a est nel Mar del Giappone. Una strategia questa che il regime nordcoreano aveva posto in essere sia ad aprile, quando – nonostante la sospensione dei test missilistici e nucleari – aveva disposto il lancio di un missile da crociera più a scopo politico che militare, sia a maggio, quando aveva lanciato alcuni missili a corto raggio da una base situata molto probabilmente a Hodo.
Dobbiamo domandarci se questa scelta sia irrazionale o se invece l’attuale leader coreano stia perseguendo una precisa strategia. Dal punto di vista squisitamente strategico e politico l’uso dell’arma nucleare non solo è un efficace strumento di dissuasione interna, ma anche di dissuasione nel contesto della politica internazionale (come lo fu d’altronde durante la guerra fredda tra Stati Uniti e Russia).
Per quanto riguarda l’uso dell’arma atomica come strumento di consolidamento del potere interno, in primo luogo non dimentichiamoci che è proprio sotto la sua leadership che i test nucleari sono aumentati in modo rilevante rispetto a quelli fatti dal padre. In secondo luogo l’attuale leader della Corea del Nord ha posto in essere nel 2014 la Forza strategica nucleare, che dal punto di vista militare e politico non solo è assolutamente autonoma (cioè non dipende dalle forze militati tradizionali) ma è gerarchicamente posta alle dirette dipendenze del Partito. Di conseguenza l’attuale leader da un lato consolida il controllo del Partito sulle forze armate, dall’altro lato attribuisce sempre maggiore rilevanza al potere militare, l’appoggio del quale è fondamentale per il leader coreano. Inoltre, la società civile coreana non può che confermare il proprio consenso al leader coreano, perché vede nello strumento nucleare uno strumento di prestigio internazionale.
Per quanto concerne l’uso dello strumento militare nel contesto della politica internazionale, questo viene usato con obiettivi strategici molto precisi. Da un lato potrebbe consentire all’attuale leader di rendere più realistica la riunificazione della Penisola (di renderla più realistica agli occhi del Partito, delle oligarchie militari e della società civile coreana). Dall’altro lato l’uso razionale e strategico della dissuasione nucleare ha consentito – almeno fino a questo momento – di dividere i suoi interlocutori e cioè Stati Uniti, Cina, Russia e Giappone impendendo loro di attuare scelte comuni, l’assenza delle quali costituisce per l’attuale leader coreano un rilevante vantaggio politico (ad esempio il dispiegamento del sistema americano antimissile Thaad (Terminal High Altitude Area Defense) a Seul è stato non a caso aspramente criticato da Pechino e Mosca).
Inoltre l’uso a scopo provocatorio del lancio dei missili costringe gli Stati Uniti a scendere a continue trattative per togliere le sanzioni. Washington tuttavia si guarda bene dal reagire direttamente a livello militare, poiché questa scelta avrebbe conseguenze imprevedibili – potrebbe portare infatti ad un’escalation – ma si limitano a rafforzare il dispositivo militare della Corea del Sud (a titolo esemplificativo ricordiamo che gli Usa fra l’altro hanno dislocato in Corea del Sud 29mila militari con 140 carri armati, 170 veicoli corazzati e 60 pezzi d’artiglieria).
Ammettendo, in linea puramente ipotetica, che gli Stati Uniti comunque volessero attaccare direttamente la Corea del Nord gli scenari ipotizzabili sarebbero sostanzialmente questi: attuare un blitz per colpire i centri di ricerca missilistici e nucleari con attacchi mirati e limitati; porre in essere un’azione offensiva di maggiore intensità volta a colpire le basi missilistiche e i sottomarini dotati di missili balistici. Tale azione porterebbe tuttavia Pyongyang a reagire sia utilizzando missili antinave e balistici a testate convenzionali sia a porre in essere un’offensiva terreste; infine attuare un’offensiva globale alla quale la Corea del Nord risponderebbe con l’uso non più dissuasivo ma offensivo dell’arma atomica.