“Un’escalation non provocata” e quindi senza motivi, ha definito Washington l’ammassamento di truppe russe ai confini con l’Ucraina, in corso ormai da settimane. Secondo gli analisti, si sarebbe arrivati a oltre centomila soldati pronti a intervenire. Non solo: sempre secondo gli Usa, Mosca ha messo a punto un piano per bloccare per sei mesi il passaggio di imbarcazioni in parte del Mar Nero e dunque l’accesso ai porti dell’Ucraina. Prosegue anche la guerra diplomatica, con l’espulsione da parte americana di dieci diplomatici russi accusati di spionaggio e la conseguente rivalsa russa con l’espulsione di altrettanti diplomatici americani. Secondo Marco Di Liddo, responsabile dell’Area geopolitica e analista responsabile del Desk Africa e del Desk Russia e Balcani presso il CeSI (Centro Studi Internazionali), “la Russia si sta muovendo non solo per l’atteggiamento della Casa Bianca nei suoi confronti, ma anche perché ha bisogno di conquistare quel lembo di territorio attualmente nella regione del Donbass ucraino che metterebbe in comunicazione la Crimea con Mosca. Da quando infatti è stata invasa, la Crimea è isolata e scarseggiano i rifornimenti di acqua, elettricità e anche viveri. È vitale per la Russia conquistare quel lembo di territorio”.
Nonostante la minaccia, sembra improbabile che la Russia possa davvero invadere l’Ucraina, non pensa? Visti i pessimi rapporti tra la nuova amministrazione americana e la Russia, rispetto a quelli che Trump aveva con Mosca, non potrebbe essere un modo da parte dei russi di mostrare i muscoli agli Usa piuttosto che all’Ucraina?
Partiamo da un presupposto. Quando si analizzano eventi come quelli che stanno accadendo adesso nell’est dell’Ucraina, a ovest della Russia, non si può escludere a priori alcuno scenario.
Anche la guerra? Perché?
Per due motivi. A livello di possibilità, non possiamo escludere il fatto che la Russia possa avviare una operazione militare, non siamo nella testa dello stato maggiore russo e tantomeno in quella di Putin. Non possiamo conoscere i calcoli che l’élite politica russa sta facendo. In secondo luogo, dobbiamo considerare, per quanto riguarda il contesto dell’est dell’Ucraina, che ai russi manca di prendere il controllo del corridoio che unirebbe il Donbass alla Crimea, quello di Mariupol, che è un corridoio fondamentale.
Per quali motivi?
La Crimea è in una condizione, a livello di servizi alla popolazione, molto precaria. Da quando è stata annessa alla Russia sono diminuite le forniture di acqua ed elettricità via terra, passando dall’Ucraina, e quindi devono essere fatte tramite lo stretto di Kerc o tramite supporti via nave. La popolazione sta soffrendo questo tipo di disagi e i disagi creano malumore. In secondo luogo, c’è bisogno di quel corridoio per garantire un supporto più stabile via terra attraverso il Donbass e per accedere alle centrali elettriche che si trovano lungo quel lembo di terra.
Così si spiega perché Mosca sarebbe pronta a entrare in guerra?
Sì, anche se con una particolare strategia. Potrebbero esserci elementi che sventolano la bandiera russa varcando il confine e marciando verso Kiev o piuttosto Mariupol. L’esperienza e il trend che abbiamo osservato negli ultimi sette anni dice qualcosa di diverso.
Cosa?
Ci dice che la Russia usa strategie non convenzionali, asimmetriche, ibride per condurre questo tipo di operazioni, supportando i ribelli locali, utilizzando gli uomini verdi e altri elementi per supportare la sua strategia. Ovviamente a livello politico e a livello tecnico sapremmo eventualmente quanto accade, ma nel momento in cui bisogna dimostrarlo con prove incontrovertibili da portare a livello internazionale le tecniche ibride creano imbarazzi. È difficile trovare la smoking gun dell’invasore.
Quindi dobbiamo prepararci a un possibile collasso della situazione, come nel 2014?
Gli elementi che abbiamo oggi in mano fanno sì propendere per la teoria da lei richiamata all’inizio, cioè che nel contesto degli scontri fra Europa e Russia e Usa e Russia, dovuti non solo all’Ucraina ma a tutta una serie di dossier come le ingerenze elettorali, il caso Navalny e altro ancora, la risposta russa è rilanciare, come in una partita a poker.
Che significa?
Dire a Washington e a Bruxelles: voi avete questo atteggiamento molto aggressivo, io non solo vengo a vedere le vostre dichiarazioni, ma schiero truppe per rilanciare, cioè vengo a vedere cosa potete fare. La Russia ha un piccolo vantaggio, che deriva dal pregresso della crisi ucraina. Nel 2014, quando Mosca ha invaso la Crimea e creato l’insurrezione nel Donbass, sia l’Europa che gli Usa non hanno risposto con azioni di forte supporto militare a difesa dell’Ucraina. Questo ha convinto Putin che, al di là delle sanzioni, sia Washington che Bruxelles non sono disposte a un sacrificio politico e militare di alto livello a difesa dell’Ucraina. Il mondo del 2021 non è quello del 2014, molte cose sono cambiate, tutto il pianeta è piegato dall’emergenza pandemica, incombono altre preoccupazioni. Questo è un elemento che potrebbe spingere a pensarci non due, ma tre volte prima di pensare a un coinvolgimento militare. Questo vale per tutte e due le parti.
Quindi la guerra sarebbe solo una opzione estrema?
C’è un rischio politico, sia in Ucraina che in Russia ci sono due leadership molto deboli per vari motivi: la crisi economica, il caso Navalny… Quando le leadership sono deboli, tendono a distrarre l’opinione pubblica su altri tipi di dossier, tanto da parte degli ucraini che dei russi. Alla fine questo potrebbe spingere a un’escalation.
Il presidente del Partito popolare europeo, Donald Tusk, ha detto che l’unico modo per fermare la Russia è bloccare la costruzione del gasdotto Nord Stream 2. Perché?
Il discorso sul gas è molto semplice. A noi la Russia di Putin può non piacere, ma dal punto di vista economico, nello specifico per quanto riguarda il gas, è non solo il principale fornitore europeo, ma quello che offre le maggiori garanzie di fornitura e di prezzo economico. Il gas russo costa di meno perché ci arriva via gasdotto e quindi è semplice muovere quantità di gas che arrivano attraverso dei tubi piuttosto che doverle liquefare, caricarle su nave, farle arrivare in un porto, rigassarle e distribuirle a livello nazionale.
La Germania è coinvolta direttamente nella costruzione di questo gasdotto. Non vorrà rovinare le relazioni con Mosca?
La Germania ha deciso di investire in un nuovo gasdotto che raddoppia la portata dell’attuale. Il suo obiettivo è diventare in questo modo il rubinetto del gas per tutta Europa. I polacchi, di cui Tusk è la voce, vogliono diminuire la dipendenza dal gas russo, hanno cominciato a importare gas liquefatto dagli Usa, essendo il paese più anti-russo d’Europa per motivi storici. Quando dicono di voler impedire il Nord Stream 2 non dicono una cosa sbagliata dal punto di vista tattico, perché si impedirebbe a Mosca un guadagno economico notevole che i russi non potrebbero impiegare nelle forze militari. Ma è un discorso non di breve periodo, perché si devono poi trovare altre forniture a prezzi competitivi.
(Paolo Vites)
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