Lo scorso maggio, l’amministrazione americana è tornata ad accusare Assad dell’uso di armi chimiche e ancora una volta è stata smentita. Trump aveva già minacciato un intervento americano, in quello che è stato il ritornello di tutta la guerra in Siria, incolpare Damasco per poter così mettere in difficoltà il suo alleato più importante, la Russia. Benché la Siria sia quasi del tutto sparita dall’interesse dei media internazionali, ci ha spiegato Marco Bertolini, ex capo di stato maggiore del Comando Isaf in Afghanistan e di molte altre operazioni speciali, la guerra è tutt’altro che finita. Si combatte con veemenza tra Idlib e Hama, l’ultimo territorio ancora controllato dall’Isis, da al Qaeda e dai ribelli antigovernativi. Scontri armati, raid aerei, bombardamenti che inevitabilmente comportano molte vittime civili, i soliti “scudi umani” usati dai fondamentalisti islamici. Secondo fonti dell’Onu gli sfollati sarebbero quasi 200mila. Il tutto mentre Russia, Turchia, Iran e Stati Uniti occupano militarmente ampie zone del paese, senza trovare il minimo accordo tra loro, cosa che comporta, dice ancora Bertolini, “un’instabilità in tutto Medio Oriente funzionale a una escalation contro l’Iran che qualcuno vuole molto ardentemente”.
La Siria sembra sparita dai radar dei media e anche della politica internazionale, eppure sappiamo che la guerra continua. Cosa può dirci?
I motivi non sono facilmente decifrabili. La Siria è un argomento scottante per quel che riguarda i rapporti tra Usa e Russia. Il fatto che non se ne parli potrebbe essere un segnale che si sta cercando di arrivare a un accordo fra i due. Questa naturalmente è la visione ottimistica.
E quella pessimistica?
La battaglia per Idlib, che è in corso ormai da tempo, è fondamentale per l’alleanza russo-siriana, bloccata a suo tempo e poi ripresa. Trump è tornato a parlare di uso del gas, minacciando l’intervento, nonostante si sia appurato che l’uso dei gas non c’è sia stato. Sono accuse che continuano a essere usate strumentalmente per far vedere che l’America non molla il colpo.
Oltre alla battaglia di Idlib si combatte anche sull’Eufrate, si registrano attacchi di gruppi dell’Isis contro le forze governative. È un fatto destinato a durare ancora a lungo secondo lei?
L’Isis è stato sconfitto nel senso che non è più presente come entità in grado di controllare larghi spazi di territori, ma in realtà adesso operano gruppi con le tecniche della guerriglia. Ci sono stati recentemente degli attentati, sulle rive dell’Eufrate ci sono gruppi ancora attivi che attaccano l’esercito governativo. È qualcosa con cui la Siria dovrà fare i conti ancora a lungo.
Non c’è più un’entità territoriale, ma sappiamo che l’Isis è stato a lungo sostenuto dalla Turchia e dai paesi del Golfo in funzione anti Assad. È ancora così?
La Turchia ha appoggiato formazioni contrarie ad Assad sin dall’inizio della crisi, ha finanziato indirettamente anche l’Isis con il traffico di idrocarburi e di petrolio, attualmente è presente in maniera consistente e anche imbarazzante a nordovest di Aleppo e nella provincia di Idlib. Questo comporta problemi nell’offensiva in atto perché c’è il rischio di coinvolgere proprio la Turchia, cosa che potrebbe innescare altre tensioni.
C’è dunque una volontà precisa di mantenere la Siria in uno stato di instabilità. A chi giova?
L’instabilità in Siria pesa nell’acuirsi delle tensioni nei confronti dell’Iran da parte americana. Un po’ perché l’Iran è presente in Siria, un po’ perché Israele continua a colpire con attacchi aerei in Siria le forze iraniane. Questa tensione è pericolosa ma funzionale a eventuali escalation nei confronti dell’Iran che sicuramente qualcuno vuole. Sappiamo di chi parliamo: di alcuni ambienti dell’amministrazione di Washington.