È un attacco senza precedenti, quello che ha subìto l’Arabia Saudita, con missili lanciati da una decina di droni appartenenti ai ribelli yemeniti Houthi, che sono appoggiati dall’Iran. È stato colpito il complesso petrolifero più grande del mondo, quello di Abqaiq e Khurais nell’Arabia orientale, cosa che ha obbligato il regno saudita a sospendere più della metà della propria produzione, 5,7 milioni di barili al giorno, equivalenti a circa il 5% dell’intera produzione mondiale. Ovvia l’impennata del prezzo del greggio, con un aumento del 20%, come non si vedeva da anni. Tutti puntano il dito contro l’Iran, anche se, osserva Carlo Jean, ex generale del corpo d’armata degli alpini ed esperto di strategia militare e geopolitica, “gli Houthi sono tutt’altro che degli sprovveduti, sono in grado di portare avanti attacchi del genere anche se ovviamente hanno avuto il supporto iraniano”. Un supporto, aggiunge Jean, che “arriva dalla parte radicale ed estremista, i pasdaran, i quali da tempo cercano di portare il regime iraniano in rotta di collisione contro Stati Uniti e Arabia Saudita. È stata una provocazione con l’obiettivo di accelerare la crisi”.
Un attacco senza precedenti, si dice: come è possibile che l’Arabia Saudita non sia stata in grado di prevenirlo? E soprattutto, come si spiegano danni tanto gravi?
A spiegare la buona riuscita dell’attacco è il tipo di missili utilizzati, che viaggiano a livello terra-terra, quindi molto difficili da intercettare. Il motivo invece del gravissimo danno provocato è dato dal fatto che gli impianti petroliferi, per avere un migliore rendimento, vengono costruiti in modo molto chiuso, compatto, concentrato. Basta colpirne uno perché la produzione venga bloccata.
Il danno provocato è stato enorme. Le sembra verosimile che sia rimasta bloccata addirittura metà della produzione di petrolio saudita?
L’attacco ha evidentemente toccato “cellule nervose” del sistema petrolifero saudita: non dimentichiamo che si tratta del più grande impianto petrolifero al mondo. Inoltre è stato un attacco massiccio, che ha visto l’impiego di ben dieci droni, un numero elevato. In ogni caso la decisione di Trump di impiegare le riserve americane tranquillizza i mercati, che così saranno riforniti in misura sufficiente.
È corretto parlare di un supporto tecnologico e pratico da parte iraniana?
Sicuramente. Anche se gli Houthi non sono degli sprovveduti, sicuramente i missili sono stati costruiti e forniti dall’Iran e fatti funzionare da soggetti iraniani collegati con la parte più radicale, quella contraria, ad esempio, a un possibile incontro tra Trump e Rouhani.
Un tentativo di radicalizzare la crisi già in atto in quella zona del Medio Oriente?
Si tratta di un’azione che ha mirato a mettere in crisi principalmente il regime iraniano.
Trump ha dichiarato che, in caso di accertamento di responsabilità iraniane, scatteranno le ritorsioni. È una minaccia realistica?
La reazione arriverà o da parte degli americani o da parte dei sauditi, che dispongono di un’aviazione molto potente. Gli impianti iraniani, poi, sono quasi tutti sulla costa e facilmente vulnerabili a un attacco aereo.
Il che potrebbe portare a un’escalation verso quel conflitto che sembra in preparazione da tempo?
Una guerra con un cambiamento di regime a Teheran – come invoca una certa parte dell’amministrazione americana, anche se Bolton, il personaggio che più puntava a un conflitto, è stato licenziato – presuppone l’occupazione del paese, cosa che è praticamente impossibile. L’Iran è una specie di fortezza circondata dai monti Zagros e superare queste montagne non è uno scherzo dal punto di vista militare. Più verosimile aspettarsi una serie di attacchi aerei dall’Arabia Saudita o dalle molti navi da guerra americane presenti nel Golfo. Può essere l’inizio di un’escalation preoccupante, ma va sottolineato come la risposta americana sia stata molto moderata: se non si muovono gli Stati Uniti, non si muove neanche l’Arabia Saudita.
Una ritorsione potrebbe allora scattare contro lo Yemen?
Direi che l’Arabia Saudita è già abbastanza impegnata nello Yemen. Al massimo potrebbero attirare l’esercito egiziano, come già accaduto in passato, grazie ai soldi di cui dispongono i sauditi.