Che cosa riserverà la crisi ucraina, l’invasione di Vladimir Putin che sembra aver sconcertato tutti o forse ha preso in contropiede quelli che ragionano sempre in base alle loro aspettative, quello che in inglese si traduce sinteticamente in “wishful thinking”?
Qualche giorno fa, quando finalmente si è cominciato a parlare anche in Italia di quello che stava maturando in Ucraina, un commentatore televisivo tra i più sprovveduti e visionari si chiedeva se Putin fosse un guerrafondaio o un bluff.
Poche ore dopo la fantasiosa trasmissione, Putin dava l’ordine alle sue truppe, ammassate da settimane in modo impressionante per dislocazione, ampiezza e numero, di varcare i confini. Inoltre i sevizi americani, che certamente qualche volta sbagliano ma non sempre, prevedevano l’attacco nel giro di 36 ore.
Quello che sta capitando e di cui non si conosce, ma si teme fortemente lo sbocco, è in fondo il risultato di una visione tragicomica che descrisse trent’anni fa Francis Fukuyama: il crollo del comunismo, la caduta del Muro di Berlino, decretava la “fine della storia”.
Ma in realtà la storia ha tempi e scadenze che vanno rispettate in qualsiasi svolta epocale. La storia non si ferma e genera nelle persone tanti ricordi, rancori o speranze, soprattutto quando hai perduto una grande partita. E chi vince, dovrebbe sempre avere, nei confronti di chi è stato battuto, l’intelligenza di promuovere una lenta integrazione e il dovuto rispetto anche quando sei stato il “regno del male”.
Persino questo a volte non basta, ma quando si vogliono poi accelerare i tempi e si ha la pretesa di dettare le regole del modo di vivere, si rischia spesse volte di andare a sbattere.
Insomma il crollo dell’Unione Sovietica, con il crollo del comunismo, è stato vissuto da milioni di cittadini russi come una sconfitta storica di quasi cento anni e di una cancellazione dal ruolo di grande potenza. Sia chiaro, la caduta del comunismo è stata un successo e una speranza di allargamento dei principi della democrazia a una nazione che dall’Europa attraversa l’Asia e confina con la Cina.
Dopo la vittoria, avvenuta per implosione, forse sarebbe stato necessario un grande aiuto economico, oppure un grande investimento, un’integrazione di interessi e una cooperazione internazionale più intensa.
Uno dei fatti anacronistici, ad esempio, era che mentre si scioglieva il Patto di Varsavia, l’attore militare della Guerra fredda da Est, si manteneva e si allargava la Nato, cioè l’organizzazione militare che nacque nel 1949 per contrapporla proprio al Patto di Varsavia. Una serie di Paesi dell’ex blocco dell’Est passavano addirittura dall’altra parte e non c’era ragione di credere in una guerra o in uno schieramento di missili contrapposti. Che cosa potevano pensare i russi dopo gli accordi che erano stati stabiliti tra Reagan e Gorbacev?
Nello stesso tempo a Ovest, la democrazia che aveva vinto la sua battaglia storica sulla base di una economia che non si basava solo sulla finanza, che aveva parlamenti funzionanti e si batteva per unioni di Paesi che dovevano allargare il loro sviluppo, si trasformava lentamente in una sorta di trionfo del mercato, sulla base di una globalizzazione finanziaria che ha provocato sperequazioni e diseguaglianze mai verificatesi, con poche persone che hanno accumulato la ricchezza di miliardi di persone, in tutto il mondo e all’interno dei singoli Paesi.
Inoltre la stessa democrazia tanto sbandierata perdeva la sua funzione parlamentare e partecipativa, riducendosi invece a un’oligarchia economico-finanziaria che si avvaleva di ogni strumento degli Stati.
C’è chi dice che è sempre stato così. Ci permettiamo di affermare che non è vero. L’interesse individuale, delle lobbies, delle multinazionali si è sostituito agli Stati e non pensa più a programmi sociali, a sviluppi economici equilibrati e di fatto li cancella addirittura, come hanno sempre pensato i neoliberisti. Quello che riassumeva Margaret Thatcher in sintesi politica: “La società non esiste”.
Se si teorizzano società che non esistono, non sono più neppure necessari collaborazioni internazionali, organismi internazionali. C’è una corsa in contrapposizione tra nuovi blocchi dove i più forti giocano i loro interessi. Facciamo un esempio: che cosa conta l’Onu oggi? Qualcuno potrebbe rispondere per favore?
E in fondo quale ruolo ha oggi una Unione Europea, che solidarizza giustamente con l’Ucraina, ma che cosa ha fatto in questi anni per evitare un simile scontro? E come può agire concretamente l’Ue senza avere una politica economica comune, un ministro dell’Economia unico, un piano energetico comune e una comune politica energetica magari fissato in una costituzione? E non sarebbe male anche un ministro degli Esteri unico e comune ai 27 paesi europei.
Di fatto, se Putin gioca il suo potere su un’oligarchia finanziaria e su un rinato nazionalismo russo, l’Occidente sceglie un ordine sparso dove ogni nazione e fa il suo interesse.
L’impressione è che questa contrapposizione sia dovuta a un’unica crisi globale e andrà avanti per molto tempo con esiti imprevedibili.
Se l’Unione Europea e gli Stati Uniti non possono ritornare indietro nella loro condanna, Putin quasi sicuramente, nonostante tutte le acrobazie diplomatiche di molti, non si fermerà di fronte a Kiev, perché si gioca la sua credibilità, che è più ampia di quanto pensano in Occidente ed è pure in sintonia con la Cina.
Di fatto, con l’invasione ha già vinto la sua partita, perché non vediamo nessuno in grado di fermare la sua avanzata verso Kiev. Ma quello che è più preoccupante è ciò che si scatenerà dopo che Kiev sarà caduta.
In realtà questi interessi di società guidate da una globalizzazione sbagliata provocano una debolezza generale dove si deve ricorrere come in passato alle minacce e alla potenza militare.
Francis Fukuyama e molti altri ideologhi di questo tempo farebbero bene a rileggersi la trappola di Tucidide, che in altri termini significa un confronto continuo con il rischio di una guerra terrificante.
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