terza guerra mondiale/ L’India divide il Kashmir ma aumenta le tensioni con la Cina

Il governo del primo ministro indiano Narendra Modi, dopo aver revocato ad agosto lo “status speciale” al Kashmir previsto dall’articolo 370 della Costituzione, ha annunciato a fine ottobre la divisione dello Stato in due territori, che saranno governati direttamente da New Delhi: uno costituito dal Kashmir e l’altro dalla remota enclave buddista del Ladakh.



Al di là delle misure di sicurezza poste in essere dal governo centrale indiano che si sono in larga misura concretizzate sia con il blocco delle infrastrutture, delle telecomunicazioni e di internet sia con il fermo di alcune fra le più note personalità politiche e imprenditoriali del Kashmir, una tale decisione costituisce una conseguenza assolutamente coerente con la politica attuale indiana.



Vediamo, in breve, di ricostruirne i retroscena e le finalità reali. Come abbiamo avuto già modo di esplicitare, il ministro degli Interni, Amit Shah, aveva annunciato in Parlamento un decreto che cancellava l’articolo 370 della Costituzione indiana, che attribuiva uno “status speciale” al distretto dello Jammu e Kashmir e consentiva altresì all’India di legiferare solo su difesa, esteri e comunicazioni, lasciando il resto al Parlamento locale. Inoltre il presidente Modi aveva presentato al Parlamento indiano un disegno di legge che, in estrema sintesi, prevedeva che lo Jammu e Kashmir sarebbe stato amministrato da New Delhi, facendo perdere in tal modo al Kashmir qualsivoglia reale autonomia.



Finora il Kashmir era suddiviso in tre aree: la prima, quella dello Jammu e del Kashmir, sotto la giurisdizione indiana; la seconda, quella dell’Azad Kashmir e del Gilgit-Baltistan, che si trova a nord, sotto il controllo del Pakistan; la terza, cioè la zona nord-orientale di Aksai Chin, controllata dalla Cina. Tuttavia questa divisione è assolutamente fittizia, tant’è vero che sia l’India che il Pakistan sono in permanente conflitto politico e militare.

Se per l’India l’annessione del Kashmir, avvenuta nel 1947 (anno a partire dal quale India e Pakistan si sono militarmente fronteggiate in tre guerre), contribuisce a consolidare l’unione indiana, evitando fenomeni di natura disgregativa a livello etnico e religioso, per il Pakistan, al contrario, il fatto che la maggioranza della popolazione sia musulmana contribuisce a fare del Kashmir uno Stato etnicamente coeso, delegittimandone l’appartenenza.

Dal 1989 il conflitto politico e militare tra l’India e il Pakistan si è concretizzato attraverso l’uso del terrorismo, prevalentemente localizzato nella Valle del Kashmir e nel distretto di Doda, dove si fronteggiano, da un lato, gruppi separatisti musulmani kashmiri, appoggiati dal Pakistan, che rivendicano la legittimità di una guerra santa contro il governo indiano e le forze armate e paramilitari indiane. Ora, secondo le fonti dell’intelligence indiana, tali gruppi terroristici musulmani, provenienti da Afghanistan, Arabia Saudita, Sudan, Libia, Iran e Siria, sono militarmente e finanziariamente sostenuti dagli Stati islamici in funzione anti-indiana. Da un punto di vista politico, il terrorismo che viene alimentato in questa zona contribuisce a porre in essere una guerra permanente e indiretta tra India e Pakistan, che ha portato a trasformare la valle del Kashmir in una zona altamente militarizzata.

Veniamo adesso ai reali obiettivi politici di Modi. La decisione del presidente Modi deve essere letta, sotto il profilo politico, in primo luogo non solo come la logica conseguenza del suo programma nazionalista volto a trasformare l’India in una nazione coesa etnicamente e religiosamente, ma soprattutto deve essere interpretata come la volontà politica di trasformare l’India in un gigante asiatico in grado di attuare una proiezione di potenza economica e militare in aperta competizione, fra l’altro, con quella cinese, competizione relativa anche al controllo dell’Oceano Indiano.

In secondo luogo, un ulteriore obiettivo, perseguito con fermezza e lucidità, è quello di portare a compimento il programma politico di Sardar Vallabhbhai Patel, che già negli anni Cinquanta voleva l’annessione del Kashmir.

In terzo luogo, non c’è dubbio che tale decisione contribuirà a consolidare il consenso politico interno di Modi.

Ora, alla luce di quanto affermato, quali saranno gli scenari verosimilmente prevedibili? Innanzitutto, è assai probabile che i contrasti con la Cina – come abbiamo già avuto modo di sottolineare dettagliatamente – possano aumentare. Inoltre, l’attività terroristica di matrice islamica sarà destinata certamente a intensificarsi. Infine, questo terrorismo riceverà ulteriore sostegno e legittimazione politica dai Servizi segreti pakistani (l’Isi), che – come noto – fin dagli anni 80 hanno sostenuto, sul piano della intelligence e sotto il profilo finanziario e militare, i gruppi jihadisti per contrastare proprio la presenza indiana nel Kashmir.