In uno scenario mediorientale sempre più frastagliato emergono ormai chiaramente le divisioni all’interno del Consiglio di Cooperazione del Golfo, l’organizzazione che riunisce sei Stati del Golfo Persico: Arabia Saudita, Bahrein, Emirati Arabi Uniti, Kuwait, Oman e Qatar. Le lacerazioni interne sono tali da porre la domanda se l’esistenza del Consiglio non sia ormai solo formale.
Una prima frattura era stata provocata dalla mancata adesione di Kuwait e Oman al blocco contro il Qatar decretato dall’Arabia Saudita nel 2017, con l’appoggio di Emirati Arabi Uniti e Bahrein. Il conflitto, tuttora in atto, è stato originato dalle aperture del Qatar sunnita verso l’Iran sciita, mortale nemico dell’Arabia Saudita, ma pone in evidenza interessi molto diversi dei vari Paesi, sia geopolitici che economici. Non a caso, la Turchia ha subito offerto il suo appoggio al governo di Doha, cui è unito dalla comune amicizia per la Fratellanza musulmana, cercando di trarre ancora una volta vantaggi dallo scontro tra Riyadh e Teheran.
Ancora più grave è il contrasto sorto nello Yemen tra i due Paesi leader del Consiglio, Arabia Saudita e Emirati Arabi Uniti, e Stati guida della coalizione internazionale che sostiene militarmente il presidente Hadi contro i ribelli sciiti Houthi. La guerra civile in corso dal 2015 ha fatto precipitare il Paese, già molto povero, in una catastrofe umanitaria, anche perché gli scontri coinvolgono altre fazioni, come quelle collegate al deposto presidente sunnita Saleh, ai Fratelli musulmani, ad al Qaeda, all’Isis.
L’alleanza tra sauditi ed Emirati appariva coesa nel tentativo di riportare l’intero Yemen sotto il controllo del governo di Hadi e nel contrastare l’influenza dell’Iran, sostenitore dei ribelli Houthi. Da qualche tempo, tuttavia, le strategie dei due Stati sembravano perseguire obiettivi differenti, particolarmente nello Yemen del Sud, dove gli Emirati sostenevano, piuttosto che le milizie governative, quelle separatiste da loro addestrate ed armate. La crisi è scoppiata dopo che Abu Dhabi ha iniziato un graduale ritiro delle proprie truppe, lasciando il controllo alle milizie separatiste. All’inizio di agosto, i secessionisti del Southern Transitional Council hanno attaccato i governativi nella città di Aden, occupando il porto, strutture militari e i palazzi del governo. Aden è diventata sede del governo dopo l’occupazione della capitale Sana’h da parte degli Houthi e la sua regione è contesa tra governativi, sostenuti dai sauditi, ribelli Houthi, le milizie del citato Movimento Secessionista del Sud e Fratelli musulmani, appoggiati dal Qatar.
Il governo yemenita ha accusato l’Eau di aver sostenuto i separatisti del Sud, e critiche sono arrivate anche dai sauditi; ovviamente Abu Dhabi ha respinto le accuse, e sta ora appoggiando i tentativi del governo yemenita e di Riyadh di giungere a una cessazione del conflitto. Le condizioni poste dalle varie parti in causa sono però del tutto divergenti e gli scontri continuano, anzi, negli ultimi giorni sono stati portati perfino attacchi aerei alle truppe governative. La coalizione anti Houthi è l’unica a disporre di forze aeree e sono riprese di conseguenza le accuse yemenite agli Emirati.
È quindi ormai indubbia la differenza di obiettivi geopolitici tra Arabia Saudita e Emirati, non solo per quanto riguarda lo Yemen del Sud. Aden è rilevante per il controllo dello stretto di Bab el Mandeb e, quindi, del traffico verso il Canale di Suez, e ciò sembra essere l’obiettivo principale di Abu Dhabi nell’area. Ciò è dimostrato anche dai numerosi interventi sulla costa africana, a Gibuti, nel Somaliland, nel Puntland e in Eritrea.
Gli Emirati stanno anche manifestando perplessità sul livello raggiunto nello scontro tra Iran e Arabia Saudita, sostenuta dagli Usa, un livello ritenuto troppo pericoloso. Le critiche sono particolarmente vivaci a Dubai, i cui consistenti rapporti economici e finanziari con l’Iran sono stati pesantemente danneggiati dalle sanzioni contro Teheran.
Altrettanto evidente è il fallimento dell’Arabia Saudita, che non è riuscita in quattro anni di guerra cruenta a sconfiggere gli Houthi, anzi è sempre più esposta ai loro attacchi missilistici e con droni nel suo stesso territorio. Sotto attacco è soprattutto l’uomo forte del regime saudita, il principe ereditario Mohammed bin Salman, già nel mirino per la fosca vicenda dell’assassinio del giornalista Jamal Khashoggi.
I problemi sembrano aumentare anche per gli Stati Uniti, che si trovano presi in mezzo ai conflitti incrociati dei loro alleati, con al centro il controverso regime saudita, “l’alleato per eccellenza” di Washington. Ciascuno di questi Paesi è però importante per gli americani, si pensi solo alle basi militari nel Qatar o negli Emirati, fondamentali in un deprecabile conflitto con l’Iran. E proprio da questo conflitto sembrano ora prendere le distanze questi due governi, a loro volta divisi per il sostegno di Doha ai Fratelli musulmani, malvisti ad Abu Dhabi.
Lo scontro da politico sta diventando militare proprio nel martoriato Yemen, dove i separatisti sud yemeniti, sostenuti dagli Emirati, combattono le milizie collegate alla Fratellanza musulmana, appoggiate dal Qatar ma, in questo caso, alleate dai sauditi.