Nuovi missili Usa a corto e medio raggio in funzione anti-cinese. È questa la notizia rilanciata da Nikkei Asia, finora ignorata in Occidente. Il Pentagono intende installare una rete missilistica che vale 27,4 miliardi di investimenti in 6 anni in quelle che la Cina chiama – in chiave difensiva – “prima catena di isole”, ossia Taiwan, Okinawa e Filippine (la seconda catena di isole va dal Giappone sud-orientale fino a Guam e al sud dell’Indonesia). Mentre la Cina possiede un arsenale di 1.250 missili a medio raggio, gli Stati Uniti ne sono sprovvisti, con il risultato di trovarsi sguarniti su un fronte – quello della difesa degli stati alleati e perciò della proiezione offensiva verso la Cina – che appare cruciale. La nuova mossa americana comporta un cambio di strategia, perché la potenza Usa ha finora puntato sulla presenza navale e sulle forze aeree, concedendo un vantaggio strategico ai missili di Pechino che adesso la Pacific Deterrence Initiative intende colmare.



Il piano di Washington composta conseguenze politiche importanti che non appaiono del tutti chiare nelle loro possibili conseguenze, dice al Sussidiario Francesco Sisci, sinologo e giornalista, già editorialista di Asia Times, ma che pongono la Cina a un bivio.

Come giudica questo piano?

Da un punto di vista del fronte anti-cinese rivela la crescente preoccupazione degli Usa riguardo a Pechino e potrebbe imporre nei fatti una serie di scelte politiche ed economiche a questi paesi.



Potrebbe esplicitarle?

Non è chiaro come potrebbe reagire la Cina se il Giappone ufficialmente accettasse di ospitare i missili. Inoltre non è chiaro cosa farebbe la Cina se i missili fossero schierati a Taiwan, isola di fatto indipendente ma secondo Pechino parte dell’unica Cina. E le Filippine? Ritornerebbero più chiaramente in un alveo americano accettando i missili, oppure accetterebbero il rischio di restare senza difese ma più esposti alla Cina?

Il piano americano prevede come elemento centrale una rete missilistica di precisione lungo la prima catena di isole, non più soltanto una deterrenza basata su navi e aerei. Cosa può dirci?



Il sistema va ad affrontare un problema specifico. La Cina ha schierato un numero crescente di missili a medio e corto raggio, sicuramente centinaia, forse migliaia, che oggi e in futuro mettono sempre più sotto schiaffo la prima catena di isole nella regione, il Giappone o Taiwan. D’altro canto i missili americani arrivano alla fine di una moratoria del 2019 nella costruzione di missili a breve e medio raggio, più precisi ed economici dei grandi missili balistici.

Cosa farebbe la Cina con i paesi che ospitano missili? Applicherebbe sanzioni economiche, oppure sceglierebbe di tenere le questioni politico-militari separate da quelle commerciali?

È una questione decisiva al pari delle altre, alla quale non possiamo ancora rispondere. Insomma il nuovo piano pone alla Cina problemi nuovi. Questo potrebbe portare a un aumento delle tensioni. La Cina ha viceversa bisogno di uno spazio politico di pace che aiuti la crescita e lo sviluppo economico del paese. 

Qual è a suo modo di vedere il vero peso strategico della mossa americana?

Il nuovo sistema missilistico spiazza una serie di paesi vicini alla Cina che a volte avevano avuto un doppio atteggiamento verso Pechino. Da un lato guardavano alla Cina in modo meno bellicoso, dall’altro si lamentavano della Cina con gli Usa. La costruzione di un sistema missilistico crea nei fatti la base di un sistema organico di alleanze nella regione che può essere allargato e riempito di contenuti.

Però va anche detto che questa operazione non ha tempi certi.

In effetti non è chiaro quando arriveranno i missili anti-cinesi, e i tempi non sono indifferenti, perché non è chiaro come la Cina si muova dopo questo annuncio.

Secondo lei?

Se Pechino risponde con lo schieramento di nuovi missili comincerà una vera corsa al riarmo di cui non sappiamo la fine e che difficilmente non avrà conseguenze anche nei rapporti commerciali. In teoria la Cina potrebbe anche solo limitarsi a proteste simboliche senza poi fare nulla di concreto: questo potrebbe aiutare a trovare un nuovo equilibrio di potere nella regione, che non sarà calmo come quello di dieci anni fa, ma potrebbe non essere troppo duro e pericoloso.

Ma lo farà?

È possibile. Con l’India c’è stato un cambio di direzione importante dopo gli ultimi incidenti di confine che hanno causato oltre 40 morti. Il presidente Xi si è mosso, ha chiamato il premier indiano Modi, sono state distrutte delle fortificazioni al confine. Certo le tensioni non sono risolte ma Pechino ha fatto dei passi avanti. In futuro, con il sistema missilistico, potrebbe fare in teoria buon viso a cattivo gioco. Però non si sa.

Non è chiaro il peso strategico della questione Taiwan in questa partita. È una variabile dipendente del piano americano oppure, al contrario, è il vero centro intorno a cui ruota questa operazione?

Credo ahinoi che Taiwan ormai sia solo uno dei pezzi di un puzzle molto complicato. Le tensioni cinesi ormai non riguardano solo Taiwan e anche ammesso e non concesso che la questione di Taiwan fosse risolta, i problemi fra Usa e Cina sarebbero anche altri.

Gli Stati Uniti potrebbero fare marcia indietro?

Al momento è improbabile che gli americani possano rinunciare al piano. Gli Usa e gli alleati ritengono che il riarmo degli ultimi anni della Cina abbia mutato gli equilibri strategici della regione e si stia affermando un’egemonia cinese sui paesi vicini, che infatti hanno chiesto aiuto all’America per ripristinare gli equilibri.

Pechino è pienamente avvertita dei rischi che si corrono?

La Cina avrebbe forse bisogno di una strategia organica in politica estera, ma anche all’interno, soprattutto sul piano economico. C’è una spirale di tensioni che ancora non ha un vero e proprio impatto sull’economia interna del paese, ma che potrebbe all’improvviso anche soffocarla.

Sta dicendo che servono riforme? Una strategia imperiale alla Cina non manca di certo, basta pensare alla Nuova via della seta.

Credo che il mondo si aspetti riforme interne importanti in Cina senza le quali oggi forse manca una base solida di intesa. Però non so se e quando tali riforme arriveranno. Potrebbero non arrivare del tutto, o invece palesarsi fra sei mesi un anno. Non è chiaro.

(Marco Tedesco)

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