Poco prima che Putin annunciasse l’attacco all’Ucraina (in un discorso registrato pare già lunedì scorso) il presidente ucraino Zelensky, ormai al corrente di quanto stava succedendo, si era rivolto al mondo con parole laconiche: “Dobbiamo infliggere il massimo delle perdite alle forze russe”. Seppure pronunciate come incitamento al suo popolo, sembrano le parole di uno che sa di aver già perso la guerra, parole dette quando l’occupazione è in atto e si vuole colpire l’avversario come rappresaglia più che per una vittoria ritenuta impossibile.
Secondo Giuseppe Morabito, membro fondatore dell’Institute for Global Security and Defense Affairs (Igsda) e membro del Collegio dei direttori della Nato Defense College Foundation, “la situazione sul campo è tale che è ormai inutile che la Nato continui a rifornire di armi un esercito che nel giro di 24 ore verrà spazzato via”.
Siamo davanti a una situazione che ricorda in maniera inquietante la strategia utilizzata da Hitler e che portò allo scoppio della Seconda guerra mondiale, ma anche, ci ha detto ancora Morabito, a un precedente che può ispirare la Cina a fare altrettanto con Taiwan: “Il ministro degli Esteri cinese ha detto che la presenza di truppe russe in alcune regioni dell’Ucraina non può essere considerata un’invasione”.
È cominciata l’invasione dell’Ucraina. Lei aveva detto di ritenere improbabile che accadesse, come lo spiega?
Sono desolato, ho sbagliato.
Gli americani avevano visto giusto, dunque, continuando a parlare di un attacco imminente?
Bisogna capire cosa c’è dietro. Quando si elaborano dei piani strategici e delle previsioni come in questo caso, si avanzano diverse interpretazioni. L’attacco militare russo era una delle ipotesi, il governo americano non dice al New York Times quello che pensa veramente, fa passare alcune notizie, quelle che vogliono siano messe a conoscenza per il proprio interesse.
Lei, però, quando si era diffusa la notizia del ritiro delle truppe russe aveva visto giusto, dicendo che poteva trattarsi di un trucco per ingannare l’avversario.
Purtroppo sì e sono arrabbiatissimo di averci azzeccato, speravo non si verificasse davvero.
D’altro canto, chi poteva credere a un tale inganno da parte di Putin? Dal suo punto di vista è stato uno stratega geniale?
Nessuno pensava che Putin arrivasse a tanto, purtroppo la diplomazia non è riuscita a fermarlo. Ma non è riuscita neanche a convincere gli ucraini a stare tranquilli. Le due parti si sono sentite spalleggiate: gli ucraini dall’Occidente, i separatisti dalla Russia. È successo così che in quella che si definisce area di contatto, il Donbass, si sentivano così sicuri da poter osare: gli ucraini di non ritirarsi, i filo-russi di dichiarare l’indipendenza delle loro repubbliche. Chi ha osato di più sono stati gli ucraini, che pensavano che Putin non arrivasse a quello che ora sta facendo. Lo ha deciso e messo in atto perché è sicuro che l’Occidente non andrà a morire per Kiev.
Le notizie, da parte russa, dicono che la difesa aerea ucraina sarebbe stata annientata. È credibile?
Può essere, è sempre la prima mossa che si compie quando si attacca un’altra nazione. Pensiamo all’attacco all’Iraq: gli americani come prima cosa distrussero le forze aeree. Per vincere una guerra sul terreno bisogna prima avere la supremazia aerea. Una volta distrutta, chi attacca ha il vantaggio della copertura aerea, che chi deve difendersi non ha più.
L’esercito russo è entrato in Ucraina, ma come pensano di poter controllare un paese così grande?
Pensiamo all’Afghanistan. Quando si entra in un territorio ostile, come fecero gli americani, non si riesce a controllare, ci si può riuscire solo in piccole aeree, dove la popolazione è a tuo favore. È facile per i russi controllare le province del Donbass, ma più si allargheranno, più dovranno inviare forze per controllare il territorio.
Che conseguenze può avere quanto sta accadendo?
Se fossi il presidente di Taiwan, darei subito l’allarme. La Cina ha detto che la Russia non va condannata, rifiutano il termine “invasione”. Il significato è chiaro: i cinesi intendono che neanche un’invasione di Taiwan potrà essere considerata tale.
La Nato cosa farà adesso, continuerà a fornire armi all’Ucraina?
Sarebbe inutile. Dovevano impedire l’attacco russo, convincerli a non farlo, adesso a che serve dare armi a un esercito che fra 24 ore avrà perso tutto? La Nato interviene, in base all’articolo 5 del trattato, solo se un paese membro viene attaccato, l’Ucraina è un paese amico, non uno Stato membro dell’Alleanza.
È il motivo per cui Putin si è opposto all’ingresso di Kiev nell’Alleanza atlantica.
Ma anche se i russi avessero comunque attaccato un paese Nato, ad esempio la Lituania, non è che l’Italia sarebbe intervenuta immediatamente mandando i nostri soldati. Ci si presenta prima al Parlamento a chiederne l’approvazione, non è una risposta militare automatica.
Draghi e Mattarella hanno infatti convocato il Consiglio di sicurezza e quello di difesa. Cosa significa esattamente?
Logico che lo abbiano fatto. Abbiamo forze italiane nei Paesi baltici, la brigata alpina Taurinense, e aerei che si occupano della difesa nei cieli. Il conflitto potrebbe allargarsi e le nostre truppe potrebbero essere coinvolte. E in questo caso si trovano sì in un paese membro della Nato.
Come militare di lungo corso, è preoccupato?
Le guerre si combattono con le armi e le armi uccidono persone. Sono preoccupato perché, se non si fermano subito, se non si trova un accordo, i morti saranno molti. Nessuna delle due parti cercherà di fermare gli eventi, finché non ci sarà un cessate il fuoco. Ma attenzione: la maggior parte delle vittime si contano proprio nel momento in cui si arriva al cessate il fuoco.
Perché?
Perché prima di cominciare a dialogare ciascuna delle due parti cerca di portare il più avanti possibile il proprio obiettivo, in modo da essere avvantaggiata quando si comincerà a discutere. È in quei momenti che i combattimenti diventano più intensi: quando le due parti sanno che devono fermarsi, vogliono guadagnare spazio sul terreno, anche a costo di vite umane, spazio strategico e anche spazio politico.
(Paolo Vites)
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