Vladimir Putin, desideroso di capitalizzare l’escalation della tensione nel Golfo, ha esortato l’Arabia Saudita il 16 settembre a una conferenza stampa congiunta con i leader dell’Iran e della Turchia ad Ankara a procedere con l’acquisizione del sistema di difesa antimissile S-400 della Russia dopo che il sistema antimissile Patriot prodotto dagli Stati Uniti non è riuscito a rilevare gli attacchi di droni e missili sulle due principali strutture petrolifere del paese.



Ora, se è indubbio che l’Arabia Saudita sia stata, e sia, in trattativa con la Russia per l’acquisto del sistema antimissilistico russo, l’eventuale firma di questo accordo rischierebbe certamente di avere ripercussioni rilevanti a livello politico-diplomatico con gli Stati Uniti analoghe a quelle con la Turchia in relazione ai sistemi missilistici S-400 russi. Al di là di queste ipotesi, rimane il dato di fatto che l’offensiva iraniana ha certamente lanciato un messaggio preciso a Ryad e a Washington, oltre che a Mosca e a Pechino: l’Iran non intende assumere una postura remissiva nei confronti delle scelte saudite e americane, volte non solo a ridimensionare in modo profondo le esportazioni petrolifere a vantaggio di quelle saudite, ma anche il suo ruolo sullo scacchiere mediorientale.



Inoltre, dobbiamo tenere conto che la tensione all’interno del Golfo sarà destinata necessariamente ad aumentare poiché, indipendentemente dalle dichiarazioni recenti di Donald Trump, gli Stati Uniti si stanno riposizionando rispetto al ruolo centrale che giocavano nel Golfo, dal momento che gli Usa non sono più come in passato dipendenti dalle importazioni di petrolio del Golfo. Proprio per questo la dottrina Carter relativa alla necessità di intervenire militarmente in modo rapido e capillare per difendere le risorse petrolifere saudite è certamente venuta meno, nonostante le recenti dichiarazioni del gen. Joseph Dunford, presidente dei Joint Chiefs of Staff, che ha affermato che gli Stati Uniti aiuteranno a fornire un sistema stratificato di capacità difensive per mitigare il rischio di sciami di droni o altri attacchi che potrebbero provenire dall’Iran.



Consapevoli di questo riposizionamento strategico da parte americana, i paesi del Golfo hanno posto in essere numerosi accordi bilaterali con la Cina, la Russia, la Turchia, l’Iran e la Corea del Sud, al punto che possiamo oramai parlare di progressiva asianizzazione dei paesi del Golfo. Tuttavia l’aspetto più interessante, da un punto di vista geopolitico, relativo al nuovo ruolo che la Russia intende avere nel Golfo, è stato espresso nel documento noto come Russia’s Collective Security Concept for the Persian Gulf, nel quale viene proposto un concetto di sicurezza collettiva che rimpiazzerebbe l’ombrello della difesa statunitense del Golfo e posizionerebbe la Russia come mediatore di potere al fianco degli Stati Uniti. La coalizione non solo includerebbe gli stati del Golfo ma la Russia, la Cina, gli Stati Uniti, l’Unione Europea e l’India, nonché altre parti interessate (probabilmente anche l’Iran). A questa proposta, il portavoce del ministero degli Esteri cinese, Hua Chunying,  ha risposto in modo positivo sottolineando come Pechino intende rafforzare la cooperazione, il coordinamento e la comunicazione con tutte le parti coinvolte in una ottica tipicamente multilaterale, analoga per certi versi a quella che intende porre in essere in Libia.

Ora, al di là della possibilità operativa che una tale cooperazione venga di fatto realizzata e al di là della possibilità che riesca a conseguire degli obiettivi (molto probabilmente limitati),da un punto di vista strettamente geopolitico la proposta russa è di estremo interesse perché indica in modo chiaro la volontà di Putin di ridimensionare il ruolo americano in relazione ai paesi del Golfo presentandosi come un attore non più marginale o secondario ma come un attore centrale.