LA TERZA GUERRA MONDIALE “IN POTENZA”: CAOS PER ATTENTATO DUGINA

L’attentato a Darja Dugina, la figlia dell’ideologo nazionalista russo Aleksandr Dugin, è stato rivendicato da un gruppo ancora sconosciuto autodefinitosi “Esercito nazionale repubblicano”. Il livello della tensione tra Ucraina (con l’Occidente) e Russia è nuovamente alle stelle con il forte rischio, paventato, di una terza guerra mondiale come conseguenza diretta del conflitto in corso ormai da 180 giorni alle porte dell’Europa: le bombe che continuano a cadere nel Donetsk e nel Sud del Paese, anche vicino alla centrale nucleare di Zaporizhzhia, e l’attentato contro la figlia dell’ideologo di Putin sono le “micce” più inquietanti per quella che in molti continuano a definire “terza guerra mondiale”.



Quando però Mosca stava continuando a ritenere Kiev diretta responsabile della bomba fatta detonare a distanza sulla macchina di Dugin, ecco la novità giunta in queste ore che potrebbe “raffreddare” il livello di scontro tra ucraini e Mosca: «l’attentato è stato rivendicato dall’Esercito nazionale repubblicano», ha spiegato Ilja Ponomarev, ex deputato della Duma, sottolineando come l’attacco «apre una nuova pagina nella resistenza russa al putinismo». Nel manifesto diffuso in Russia dal gruppo dissidente-ribelle, Putin viene definito «un usurpatore del potere e un criminale di guerra che ha emendato la Costituzione, scatenato una guerra fratricida tra i popoli slavi e mandato i militari russi a una morte certa e insensata».



ANCORA BOMBE VICINO A ZAPORIZHZHIA, RISCHIO TERZA GUERRA MONDIALE: NEGOZIATI PIÙ LONTANI?

Le bombe nel frattempo continuano a cadere dai cieli d’Ucraina e non lasciano per il momento spiragli possibili per dei negoziati di pace a stretto giro, nonostante l’impegno “a parole” ottenuto da ONU e Turchia nel recente vertice a Leopoli con il Presidente Volodymyr Zelensky. Il timore e la minaccia di una terza guerra mondiale resta sempre infatti all’orizzonte: mentre l’esercito ucraino riusciva a distruggere la roccaforte russa di Kherson («uccisi 20 soldati russi e messo fuori uso un obice semovente Msta-S, due sistemi missilistici S-300, un obice semovente Giatsint-S, un sistema radar Nebo-M, un mortaio da 120 mm e tre veicoli blindati», riporta l’ANSA), nuove bombe da Mosca venivano fatte cadere su Nikopol, centro vicinissimo alla centrale nucleare di Zaporizhzhia.



La minaccia di una guerra nucleare è ciò che sta spingendo la Russia a tentare di chiudere la centrale, con forte opposizione delle Nazioni Unite e dell’intero Occidente: da Kiev invece il messaggio lanciato al Cremlino è diretto al nodo dei negoziati, «nessun negoziato sarà possibile se la Russia processerà pubblicamente i militari ucraini catturati dall’inizio del conflitto». Per Zelensky processare i soldati di Mariupol rappresenterebbe un oltraggio all’Ucraina che impedirebbe qualsiasi negoziato: «Non importa cosa gli occupanti stiano pensando o pianificando, la nostra reazione ci sarà», conclude non prima di sottolineare come in Crimea «si sente letteralmente che l’occupazione è temporanea e che l’Ucraina sta tornando». Celebrando il Giorno dell’Indipendenza ucraino (24 agosto), Zelensky aggiunge «Restiamo uniti, aiutiamoci a vicenda, restauriamo ciò che è stato distrutto, combattiamo per tutto il nostro popolo».