Un anno fa il presidente degli Stati Uniti annunciava il ritiro dagli accordi sul nucleare firmati con l’Iran durante la presidenza di Barack Obama. Una uscita che ha permesso agli altri paesi firmatari (Cina, Russia, Germania, Francia e Regno Unito) di continuare a fare affari con Teheran. Adesso però Trump stringe la corda e annuncia una moratoria proprio per mettere fine a questa situazione, mandando anche una flotta militare nel Medio Oriente con il chiaro intento di minacciare all’Iran. Come ci ha spiegato Rony Hamaui, docente di economia monetaria nell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano e presidente di Intesa Sanpaolo ForValue, è questa scadenza temporale simbolica dal punto di vista politico che ha portato l’Iran a lanciare il suo ultimatum agli altri paesi firmatari, chiedendo di “rendere operativi i loro impegni riguardo ai settori petroliferi e bancari” entro 60 giorni, altrimenti riprenderà il suo programma di arricchimento dell’uranio e dell’acqua pesante. Ecco cosa ci ha detto Hamaui.



L’ultimatum lanciato da Teheran che cosa significa realmente? Che tipo di minaccia è?

L’uscita degli Usa dall’accordo sul nucleare un anno fa era stata dolorosa, ma non più di tanto perché gli altri paesi firmatari potevano continuare a importare petrolio dall’Iran. Questo aveva moderato la rabbia iraniana perché a Teheran pensavano che le cose sarebbero andate avanti come in effetti sono andate. Trump ha annunciato adesso che questa moratoria viene tolta, il che ha infastidito ovviamente Teheran ma soprattutto la Cina, che è il maggior esportatore di petrolio iraniano. Ecco allora la contromossa politica iraniana. Tra l’altro Teheran non annuncia che comincerà da domani, ma lascia due mesi di tempo ai paesi firmatari dell’accordo sul programma nucleare per far pressione sugli Usa perché la situazione non degeneri in maniera assoluta.



Che cosa accadrebbe?

A quel punto l’Iran non avrebbe più niente da perdere: quando non può vendere più una goccia di petrolio non gli resta che tornare ad arricchire l’uranio. Quindi ha dato due mesi di tempo all’Europa e alla Cina perché facciano pressioni su Washington per non fare decadere gli effetti dell’accordo nucleare.

A parte Cina e Russia che si muovono da soli, i paesi europei non hanno questa grande forza di dialogo con Trump, anzi. Cosa pensa si riuscirà a fare in questi 60 giorni di tempo?

A questo è molto complicato rispondere. L’ipotesi migliore sarebbe quella di rimettere tutti intorno a un tavolo e ridiscutere l’accordo, almeno alcune clausole e riaprire una trattativa. Questo fino a oggi non lo ha voluto nessuno, né l’Iran né l’Europa. Adesso, forse, alla luce di una situazione che può sfuggire di mano si troverà il modo di aprire un dialogo.



Trump sta inviando una flotta militare in Medio Oriente facendo esplicite minacce all’Iran: è questo il rischio che si corre, un’escalation militare?

Trump gioca molto con le minacce ma poi arriva ai compromessi, è la sua tattica. Ci auguriamo che anche in questo caso finite le minacce si arrivi alla trattativa e poi all’accordo. Questo, Trump lo ha fatto in tutti i campi, in alcuni casi è andato fino in fondo, come con l’accordo Nafta con Messico e Canada, in altri casi ci si è fermati a metà, come è il caso della Nord Corea. Nel caso dell’Iran onestamente non sappiamo quanto andrà avanti con le minacce. Trump ha poi aperto il fronte con la Cina sui dazi. Ci sono evidentemente tutte una serie di trattative in ballo che Trump ha voluto aprire in maniera muscolosa per poi arrivare a un accordo. Non è nell’interesse di nessuno non trovare un accordo sulla questione nucleare. Ovviamente la certezza non c’è.

C’è da ricordare poi Israele, che ha già detto che non permetterà mai che l’Iran si doti di armi nucleari. Anche loro fanno la voce grossa o ci sono pericoli concreti?

Un attacco militare alle centrali nucleari iraniane è oggettivamente di difficile realizzazione. Non è impossibile, ma molto difficile da realizzare. Dobbiamo infatti considerare che tra Israele e Iran ci sono di mezzo la Siria, e cioè i russi, e l’Iraq, dove la presenza iraniana è molto forte. Arrivare fino a centrali estremamente nascoste non è un’operazione militare semplice, né per Israele né per gli Usa. Lo scacchiere è molto complicato. In questo momento tutti abbaiano, bisognerà vedere poi che cosa succede.

(Paolo Vites)