Partiamo come di consueto dai fatti di cronaca. Il ministro degli Esteri Israel Katz ha dichiarato martedì che Israele è stato coinvolto in una missione navale guidata dagli Stati Uniti per fornire un’adeguata sicurezza marittima nello Stretto di Hormuz.

Parlando a una sessione chiusa del Comitato per gli affari esteri e la difesa della Knesset, Katz ha affermato che Israele stava aiutando il contenimento americano anti-iraniano anche nel settore dell’intelligence. Inoltre ha sottolineato che la missione che verrà attuata è certamente nell’interesse strategico di Israele allo scopo di contrastare l’Iran, rafforzando in tal modo i legami con i paesi del Golfo. Proprio in questa ottica il ministro degli Esteri ha esplicitamente difeso il contributo che la Royal Navy – la Marina britannica è infatti presente sia con la fregata Monrose che con il cacciatorpediniere Duncan – intende dare nel difendere la libertà di navigazione nello stretto di Hormuz.



Ora, la domanda che dobbiamo porci da un punto di vista sia politico che strategico è da dove nasca questa collaborazione tra Israele e i paesi del Golfo.

Partiamo ancora una volta dai fatti. In giugno proprio il ministro degli Esteri Israel Katz aveva fatto una visita senza preavviso nella città del Golfo di Abu Dhabi prendendo parte a una conferenza sul clima delle Nazioni Unite e discutendo della “minaccia iraniana” con un funzionario degli Emirati Arabi Uniti. Ora, benché Israele non abbia relazioni diplomatiche formali con gli Emirati Arabi Uniti, che come la maggior parte dei paesi arabi non riconosce lo Stato ebraico, entrambi gli attori hanno posto in essere relazioni ufficiose allo scopo di contrastare in modo più efficace l’Iran. Proprio in quest’ottica il primo ministro Netanyahu ha posto in essere una politica estera con gli Stati arabi (si pensi all’incontro avuto ad ottobre con il sultano dell’Oman) in funzione anti iraniana, allargando in questo modo le alleanze regionali con il mondo arabo già sviluppate con Egitto e Giordania.



Nel contempo è stato presentata l’iniziativa “Tracks for Regional Peace” con lo scopo di creare un’infrastruttura ferroviaria israeliana che attraverso la Giordania arrivi all’Arabia Saudita e ad altri Stati del Golfo allo scopo di incrementare il commercio e consentendo altresì agli Stati arabi l’accesso ai porti del Mediterraneo. D’altronde questi incontri erano già iniziati nel 2016 e nel 2018 tra il principe saudita Turkī al-Fayṣal e Tzipi Livni, responsabile della Unione sionista e tra il generale Amos Yadlin (che è stato dal 2006 al 2010 direttore dell’intelligence militare della Israelian Defense forces) insieme a Yakov Amidror, capo dipartimento dell’intelligence militare israeliana. Inoltre nel 2017 il ministro degli Esteri israeliano Avigdor Lieberman insieme al suo collega saudita  al-Ādil al-Ğubayr avevano rivolto un appello congiunto per contrastare la politica aggressiva iraniana.



Passiamo adesso più nello specifico alle ragioni di questa convergenza tra Israele e paesi del Golfo.

In primo luogo ciò che lega Israele al mondo arabo in questo particolare frangente storico è la pericolosità che per entrambi rappresenta l’Iran. Infatti il ruolo dell’Iran e dei suoi alleati sia in Libano, sia in Siria che in Iraq è divenuto via via sempre più destabilizzante per Israele e per il mondo arabo.

In secondo luogo il graduale disimpegno statunitense in Medio oriente – determinato dalla politica economica espansionistica cinese – desta molte preoccupazioni sia in Israele che presso il mondo arabo.

In terzo luogo Hezbollah rappresenta un nemico storico di Israele e ha contribuito insieme all’Iran (non dimentichiamoci che Hezbollah sostiene da tempo la rivolta degli Houthi in Yemen) a destabilizzare lo Yemen in funzione anti araba.

In quarto luogo l’attuale politica statunitense anti-iraniana è anche la conseguenza dell’influenza delle lobby sioniste ed arabe presso le oligarchie politiche americane.