La situazione della sicurezza in Cina è “instabile e incerta” e l’Esercito popolare di liberazione deve essere pronto a “rispondere a varie situazioni complesse e difficili in qualsiasi momento” per proteggere la sicurezza nazionale. Sono parole del presidente cinese Xi Jinping pronunciate durante la due giorni di seduta plenaria del Congresso nazionale del popolo, l’organo legislativo del paese. Ma sono solo quelle riprese dalle agenzie di stampa occidentali. Massimo Introvigne, sociologo, fondatore e direttore del Cesnur e del sito Bitter Winter che documenta la repressione civile e religiosa in Cina, ha potuto leggere il discorso originale in cinese. Xi ha citato esplicitamente gli Stati Uniti come il nemico che attenta alla sicurezza del paese: “Bisogna tener conto che ogniqualvolta si tengono le riunioni degli organi centrali del partito si usa sempre questo linguaggio propagandistico e patriottico che incita a essere pronti alla guerra”. Ci sono però, sottolinea Introvigne, altre dichiarazioni che vanno prese più sul serio, ad esempio quelle che riguardano Taiwan.
Come giudica le parole di Xi Jinping? Sono espressioni molto dure, non crede?
Sì, anche perché nel discorso originale completo cita esplicitamente gli Stati Uniti come il nemico che minaccia la sicurezza nazionale. Detto questo, non mi allarmerei più di tanto. Bisogna tener conto che fanno parte di una retorica tipica del regime cinese. Hanno questo taglio militaresco quando ci sono le riunioni degli organi centrali, sono momenti patriottici in cui di solito si dice di essere pronti alla guerra. Ciò che ha detto non significa che siamo alla vigilia della Terza guerra mondiale.
È stato forse un riferimento non tanto velato ai due casi più importanti su cui la Cina è impegnata a livello internazionale, Hong Kong e Taiwan?
A Hong Kong i giochi ormai sono fatti, la democrazia è finita. I democratici o sono scappati in Gran Bretagna o sono in carcere e l’Occidente, soprattutto il Regno Unito che inizialmente aveva fatto la voce grossa, non sembra disposto a rischiare rapporti commerciali e investimenti cinesi a casa loro. Ci saranno sanzioni individuali, divieto di andare all’estero ad alcuni funzionari, ma la cosa finisce lì. Non dobbiamo aspettarci più nulla se non la meccanica della repressione come c’è già nello Xinjiang e in altre parti della Cina.
Taiwan invece?
A Taiwan i giochi sono aperti. Xi, da quando si è insediato, ha sempre detto che prima di andare via avrebbe risolto la questione. Il momento di un possibile attacco sarà un momento scelto ad hoc, in cui gli Stati Uniti saranno distratti da altre cose.
Gli Usa non risponderanno militarmente?
Una risposta militare vuol dire la guerra mondiale. Questa amministrazione, poi, non credo sia disposta a morire per Taiwan. Con Trump forse le cose sarebbero andate diversamente.
Gli americani però non hanno mai abbandonato i loro alleati. Ritiene che alla fine non interverranno?
No, certo, sono attenti alla situazione, ma è un grande gioco e fino a dove sono disposti a spingersi non lo sappiamo. L’altra cosa che sta molto a cuore a Xi è occupare le isole contese con Giappone e Filippine, una mossa inutile strategicamente, ma che per lui ha un valore simbolico e patriottico. Un po’ come quel pezzo conteso con l’India in cui sono morti alcuni militari cinesi per nulla.
C’è comunque una spinta alla militarizzazione?
In parte è reale, in parte è propaganda interna: l’idea della integrità territoriale, una Cina unica e indivisibile, che però comprende territori dove la sovranità non l’hanno mai esercitata.
Non è anche un messaggio tra le righe per la guerra al Covid?
Loro dichiarano che la guerra con il Covid è stata vinta. Dicono: da noi il Covid non c’è più, mentre in Occidente è ancora diffuso. È un motivo di orgoglio e ritengono di aver persuaso il mondo che il virus non ha origini cinesi. L’ultimo episodio riguarda una grande casa editrice tedesca che ha mandato al macero un libro per bambini molto popolare su pressione cinese, perché il protagonista racconta ai figli che il virus arriva dalla Cina. I cinesi pensano che sul piano propagandistico abbia pagato la decisione di infiltrare l’Oms, anche se il rapporto ufficiale degli ispettori non è mai stato pubblicato.
Hanno vinto davvero?
È passata un po’ in tutto il mondo l’idea che chiamarlo virus originale cinese sia una cosa razzista e offensiva nei confronti della Cina.
(Paolo Vites)