La situazione della pandemia da Covid-19 in Italia (e non solo) resta preoccupante, anche se per diversi esperti il picco di questa terza ondata non dovrebbe essere lontano (fine marzo/inizio aprile): in una lunga analisi in esclusiva per il “Sussidiario.net” il professore ordinario di statistica economica nell’Università Cattolica del Sacro Cuore, nonché PhD all’Università di Cambridge, Giuseppe Arbia ha descritto nel dettaglio cosa ci dicono oggi i numeri del Covid e soprattutto perché dovremmo considerare questa terza ondata – anche se ancora drammatica – come l’ultima.

Ad un anno dall’inizio del lockdown e del diffondersi del contagio, gli italiani vivono in una condizione di costante “ansia” determinata dal combinato disposto delle privazioni di libertà che proseguono, le condizioni economiche pessime e una campagna vaccini che – visto l’ultimo caos AstraZeneca – ancora non decolla. Il bilancio delle vittime nel 2020 è da bollettino di guerra (99.296 morti in più della media degli anni 2015-2019) ma anche il 2021 non si è aperto benissimo, con i parametri dell’ultima settimana che vedono “schizzare” in su i numeri delle terapie intensive (da 2.100 a 2.600). Secondo Arbia, la terza ondata presenta una differenza importante rispetto alle prime due (marzo-maggio 2020, novembre 2020-gennaio 2021): «Il tasso di positività, il primo dei parametri a segnalare i cambi di tendenza, cresce ormai da 20 giorni quando era peraltro già al 4,5%. In quel momento i ricoverati con sintomi erano circa 18.000, quelli in terapia intensiva più di 2.000 ed il numero di decessi circa 300. Dato il più elevato punto di partenza, se la terza ondata avesse lo stesso andamento delle prime due il sistema sanitario rischierebbe il collasso e il prezzo da pagare in termini di vite umane sarebbe altissimo».

LE DUE BUONE NOTIZIE

Parlare di buone notizie in questo scenario sembrerebbe quantomeno azzardato, eppure esistono e il professor Arbia le argomenta benissimo nell’editoriale oggi in prima pagina: «Nel corso del secolo scorso, infatti, si riscontra un’importante analogia tra la situazione attuale e la famosa Spagnola, un’influenza a carattere pandemico caratterizzata da un’elevata mortalità», spiega il professore statistico facendo riferimento alla “terza ondata” dell’inverno 1919 che fu di fatto l’ultima della grande influenza che travolse l’Europa, con nuovi casi diminuiti e brusco stop dell’infezione poi di fatto scomparsa del tutto. Aggiungendo il livello di medicina e cure raggiunte oggi, si può comunque sperare che il Covid possa stopparsi dopo la terza ondata: entrando invece su un tema di più concreta pregnanza scientifica, è la seconda buona notizia elencata da Arbia a rassicurare.

«La precedente influenza Spagnola, infatti, scomparve senza averne trovato alcuna cura né terapia di prevenzione e ciò rappresenta un’importante differenza rispetto all’attuale emergenza», ma oggi esiste un vaccino e sebbene i ritardi del piano iniziale, la condizione del contrasto alla pandemia non può che migliorare di continuo nei prossimi mesi. «Tali valori sono ancora molto bassi e lontanissimi dall’immunità di gregge alla quale tendiamo e che raggiungeremo solo quando verrà raggiunta una percentuale tra il 70 e l’80%», sottolinea il professore tenendo però presente che ben più dei numeri ufficiali oggi si ha traccia di un’immunizzazione al virus, «se il numero ufficiale del totale degli infetti è ad oggi in Italia 3,15 milioni, alcune stime parlano di valori molto più elevati, intorno ai 10 milioni». In definitiva, conclude Arbia, con gli attuali ritmi – che dovrebbero però crescere con il nuovo piano vaccini Draghi-Figliuolo – l’immunità di gregge arriverà in estate («non prima di agosto», dice il professore al Sussidiario) con maggiore sicurezza da raggiungere forse già prima: «possiamo cominciare a sperare che questa terza ondata che stiamo affrontando, e con la quale bisognerà combattere per tutta la prossima primavera, possa davvero essere l’ultima».