Come in Ritorno al futuro: le lancette dell’orologio sono andate vorticosamente indietro e l’Inter è tornata quella pre-calciopoli: una squadra senza capo né coda, con un allenatore che incassa sberle senza restituirle e una società che sembra remare contro invece che rassicurare l’ambiente. Tutto sa di già visto, ed è un’aggravante quando sembrava che i nerazzurri non solo fossero tornati dominatori in Italia ma si fossero seduti definitivamente alla tavola imbandita dei grandi d’Europa.
Niente di tutto questo. La botta di Verona contro il Chievo è una notevole picconata alle ambizioni stagionali di scudetto e va inserirsi in un calendario che ha già visto salutare la Supercoppa Europea, vede la Champions League dipanarsi tra molte difficoltà, vedrà un Mondiale per club ricco più di incognite che certezze. C’era da aspettarselo? In qualche modo sì, in questi termini no. Il cambio in panchina, innanzitutto. Si è passati dalla dittatura di José Mourinho alla monarchia illuminata di Rafa Benitez: lui comanda, ma cercando di farsi benvolere. Esattamente il contrario del Gran Portoghese: facile immaginarsi come avrebbe reagito di fronte alla benché minima critica tecnica, come quelle che grandinano sul capo dello spagnolo. E se dal livello dei rapporti si passa a quello del rendimento, il biennio di Mourinho ha lasciato pericolose scorie nelle gambe e nella testa: la sequela infinita di infortuni e l’abbandono del tremendismo agonistico sono la cartina di tornasole più evidente. Aggiungete poi l’involuzione dal punto di vista del gioco, le difficoltà di un attacco non più monolitico nell’andare in rete, la fragilità degli interpreti e allora 10 punti nelle ultime 9 gare vi appariranno la logica conseguenza.
Ma non c’è soltanto Benitez con i suoi problemi di spogliatoio. C’è anche una società che prima ha latitato gravemente sul mercato, convinta della bontà dell’organico che aveva centrato il triplete ma gravemente deficitaria nella consapevolezza che molti interpreti si sarebbero sentiti appagati da questo: un errore non aver assecondato le voglie spagnole di Maicon, un altro errore non aver regalato a Benitez qualche fedelissimo. E la debolezza della società si trasmette all’ambiente, come testimoniato dal continuo nervosismo in campo: ultimo episodio, la testata di Eto’o a Cesar, che costerà caro al camerunese.
E il tutto emerge nella sua splendida negatività se confrontato con l’altra metà cittadina, di fronte a un Milan non scintillante ma eccellente nel capitalizzare quanto gli capita sotto mano e +9 in classifica sui nerazzurri: una squadra in cui le polemiche vengono sopite all’interno dello spogliatoio, in cui gli anziani hanno voce autorevole nei rapporti di squadra e nella considerazione del tecnico, in cui l’allenatore si fa rispettare, in cui la proprietà non permette che alcunché scivoli al di fuori delle regole stabilite, in cui Ibrahimovic fa la differenza. Proprio com’era l’Inter di Mourinho.