Campionato in vacanza, tempo di riflessione indotto non solamente dal clima natalizio. Promosse, rimandate e bocciate di serie A con parecchie sorprese, e su tutti i fronti. Giudizi che potranno essere stravolti a breve, complice la riapertura del mercato invernale, e che – soprattutto – non hanno alcuna pretesa di inattaccabilità. E’ pur sempre pallone, ogni italiano ha il diritto-dovere di poter dissentire.
Esame facile facile, dettato in parecchi casi dalla classifica. Una classifica per molti versi sorprendente, a cominciare dalla capolista. Nessuno avrebbe potuto aspettarsi un Milan immediatamente operativo e vincente, viste le premesse estive: la campagna acquisti dettata dal Genoa, la conferenza stampa di Allegri sovrastato da Berlusconi (tutti a darsi di gomito: avete visto chi farà la formazione?), la sconfitta con il Varese alla prima amichevole. Invece il mercato ha avuto colpi di coda inattesi (Ibrahimovic e Robinho), Allegri si è dimostrato conciliante quanto indipendente, i risultati hanno portato a un vertice inatteso e a una qualificazione Champions anticipata. Milan quadrato, ben organizzato, con scelte man mano sempre più chiare (Boateng trequartista) e favorito per il titolo se ritroverà anche Pato. E Cassano, nuovo rinforzo che dovrà essere inquadrato tatticamente e disciplinarmente. Ma il Milan ha gli anticorpi giusti e Allegri ha già gestito Ronaldinho.
Il Napoli, quindi, squadra cui Mazzarri ha dato un volto e, soprattutto, un’anima. Basti vedere quante volte ha raddrizzato all’ultimo respiro partite che pensava ormai sfuggite di mano. Cavani è il terminale implacabile di un gruppo che, man mano, ha trovato alternative importanti. E i risultati hanno fatto venire una voglia matta al presidente De Laurentiis, già pesantamente operativo sul mercato. Con il Napoli, altra sorpresa è la Lazio, altra squadra che non muore mai e che, a tratti, sa essere divertente. Più portata all’offesa che alla difesa ma, finora, ripagata dai risultati. Le controindicazioni? La solita tendenza all’automortificazione da parte dell’ambiente ma Reja è abbastanza scafato per non farsi impressionare dai tifosi che (ma come fanno?) contestano e da giocatori che si reputano primedonne.
Bene anche la Juventus, soprattutto perché Del Neri – accolto con non poche riserve (ma che ha fatto finora? Ma è un vecchio…) – si è ancora una volta rivelato artigiano ineguagliabile. Privo di una punta centrale, ha l’attacco più forte. Privo del portiere della Nazionale, ha dato solidità alla difesa. Il centrocampo, quando stanno tutti bene, è quello assortito meglio della A. E gli applausi per Krasic fanno dimenticare altre operazioni non felici (Martinez, per esempio). Insieme con le grandi, voti positivi per l’Udinese (per Guidolin vale lo stesso discorso fatto per Del Neri) e per il Chievo (per i patemi creati alle grandi che si sono presentate al Bentegodi).
La Roma, innanzitutto. Perché ha avuto un andamento troppo ondivago per il gruppo di cui dispone: affanni in campionato e paure in Champions League. La forza dei giallorossi è saper tirarsi fuori dalle sabbie mobili quando tutto sembra perduto, ma occorre un colpo d’ala sul piano della continuità per competere per lo scudetto e limare qualche eccesso di vittimismo che, alla fine, stufa. Rimandato il Palermo, troppo dipendente dagli estri di un fuoriclasse come Pastore e incapace di trovare un rendimento costante.
A Zamparini il merito di aver scovato altri nuovi talenti (Ilicic e Bacinovic) e il demerito di destabilizzare in continuazione l’ambiente: dopo Sabatini, Delio Rossi? Nel gruppo le tre neopromosse, anche se il Cesena ha fatto vedere qualche novità in più rispetto a Lecce e Brescia, e il Bari, troppo sfortunato per essere bocciato da un ultimo posto: in pochi casi si vedono liste simili di infortunati. Inseriamo anche il Bologna che, forse, ha messo la parola fine a vicende societarie che è poco definire complicate, e il Cagliari, che ha vissuto l’ennesimo colpo di teatro a firma Cellino e cui Donadoni sta cercando di infondere certezze mentali e quadra tecnica. Chiude il Parma che, dopo un inizio complicato, sta ritrovando un’identità, anche se deve appoggiarsi all’immortale Crespo.
Inter, e chi sennò? Vero che ha vinto due titoli (Supercoppa italiana e Mondiale per club) ma è altrettanto vero che sembra essere tornati indietro di anni, quando i nerazzurri erano maestri insuperabili nel farsi del male da soli. L’inizio della stagione ha condotto verso il pettine tutti i nodi lasciati dalla gestione Mourinho: un mercato in cui si è venduto chi si doveva tenere (Balotelli) e si è tenuto chi si doveva vendere (Maicon e Milito, giusto per fare due nomi); un allenatore che la proprietà ha non hai mai sopportato dopo non aver digerito l’addio dello Special One; un gruppo che si sentiva appagato mentalmente e fisicamente, soprattutto mal disposto verso nuovi metodi di lavoro che non apprezzava.
Benitez ci ha messo molto del suo, con una Supercoppa europea persa in malo modo, con un campionato fatto di affanni, con una Champions sublimata dalla batosta di Brema a qualificazione già guadagnata. E con un atteggiamento inflessibile che ha cozzato inevitabilmente contro lo spogliatoio e che si è inimicato Moratti, fino alle dichiarazioni di guerra dopo la vittoria di Abu Dhabi. L’ultimo (e forse l’unico piacere) al presidente, libero di calare la mannaia sulla testa appoggiata sul ceppo. Ora tocca a Leonardo, una scelta mal digerita dagli interisti e mal metabolizzata dai milanisti. Un dispetto? Per carità, ma pare di assistere a una riedizione pallonara di Futuro e Libertà… Occorre attendere i fatti per capire quanto azzeccata. E se parliamo di rigidità, tra le bocciate occorre inserire la Sampdoria. Gli applausi meritati in estate per non aver smantellato il gruppo, dopo l’addio a chi aveva contribuito alla Champions League (Del Neri&Marotta), si sono trasformati in volti irrigiditi dall’uscita nei preliminari, da un campionato poco esaltante e dalla vicenda Cassano. Qui si sono scontrate due storie personali: quella guascona del barese e quella lineare di Garrone. Con un sottofondo di contumelie da angiporto che hanno affondato un rapporto definito come di padre-figlio. Ora Cassano non c’è più, definitivamente: alla squadra e alla società il compito di non fare rimpiangere uno che aveva dato tanto. Tra le bocciate anche la Genova rossoblù.
A Gasperini è stato chiesto di rinnovare l’ennesimo miracolo dopo l’ennesima rivoluzione estiva. Facile parlare a bocce ferme, ma come la scorsa stagione sarebbe forse stato meglio tenersi Ranocchia e Bonucci, quest’anno forse sarebbe stato il caso di non dar subito via Boateng, per infondere vigore a un centrocampo invecchiato e leggero. Se si pensa, poi, che stava per cedere anche Sculli… Gasperini, comunque, è stato cacciato nel momento più difficile per lui, visto quanti giocatori erano fuori per infortunio. Ma, soprattutto, se il rapporto era già logoro, perché non si è trovato il coraggio di tranciarlo nei tempi giusti? Chiude la Fiorentina. Anche qui, è vero, c’è stata una serie di problemi fisici (e non solo, vedi Mutu) che hanno appesantito il gruppo. Ma per Mihajlovic – e anche per i Della Valle, viste certe dichiarazioni – il dopo-Prandelli si è rivelato più complicato del previsto. E farne le spese è stata la squadra, cui manca ancora un leader per effettuare il salto di qualità. Ma, di tutto questo, riparleremo il 23 maggio.