Ventotto punti in undici partite: il Milan ha impresso un’accelerazione impressionante al campionato. E avrebbe già fatto il vuoto se l’ottima Lazio non si stesse rivelando più compatta e completa di quanto pronosticato in estate. Tutti a sottolineare quanto la squadra sia Ibra-dipendente: vero, ma fino a un certo punto. Le qualità dello svedese non si discutono: uno come lui fa realmente reparto non solamente per le reti che realizza ma per il livello di guardia che alza nelle retroguardie altrui, aprendo varchi ai compagni quando attira su di sé l’attenzione generale. Ma intorno a Ibrahimovic sta crescendo una squadra completa, plasmata con attenzione da Massimiliano Allegri.
Anche lui, come la Lazio, era stato dipinto in tutt’altro modo quest’estate. Era rimasto nella memoria il giorno della presentazione, dominato dallo show in solitaria di Silvio Berlusconi. Subito Allegri era stato etichettato come un’aziendalista pronto a piegarsi ai voleri del padrone, deciso a imporre la fantasia di Ronaldinho. Il tecnico ha ascoltato, ha valutato, ha ideato. E il Milan attuale è tutt’altra cosa rispetto ai desideri estivi padronali. Squadra di (tanta) sostanza e di pochi fronzoli ma, non per questo, insensibile allo spettacolo. Un gruppo in cui Allegri sa pescare soluzioni alternative in continuità, che danno soddisfazione nell’immediato e che saranno utili in tempi di vacche magre. L’ultima, nell’ordine, è Boateng trequartista, una prova immediatamente ripagata dal primo gol in Italia del ghanese.
Un ruolo in cui, presto, dovrebbe vedersi anche il redivivo Pirlo. Centrocampisti tornati nuovamente protagonisti nel Milan, che proprio in questo settore aveva costruito le sue storiche fortune: uomini portati alla rottura senza far prevalere quest’aspetto ma ricercando la profondità e la via del gol, una peculiarità persa negli ultimi anni. A far da contraltare c’è invece l’involuzione in cui si è infilata l’Inter. Il largo successo sul Parma aveva illuso un po’ tutti, è bastata la concretezza della Lazio per far ripiombare i nerazzurri nei consueti psicodrammi. Ora c’è il Mondiale per club, diventata la linea di non ritorno per Rafa Benitez, una pena del contrappasso per chi derideva il Milan quando si vantava di aver impreziosito la stagione negative almeno con questo trofeo. Quel Milan che, detto per inciso, sabato ha travolto in mezz’ora il Brescia che aveva portato via un punto da San Siro non più di un mese fa.
Un ultimo inciso internazionale. Oggi a Parigi viene annunciato il nuovo Pallone d’Oro: trionfo per il Barcellona, che pone Iniesta, Xavi e Messi ai primi tre posti; tonfo per l’Italia che non solo vede Sneijder fuori dal podio, ma non vede neppur alcun prodotto nazionale proposto per il riconoscimento. Sono tempi lontanissimi quelli in cui il Pallone d’Oro, tra singoli atleti e club, era cosa nostra. Ma si paga un declino che è nei fatti. Quelli che ci fanno scivolare sempre più lontani dalla Germania nella classifica Uefa e che ci conduce a risultati vergognosi in Europa League (due vittorie in venti partite della fase a gironi; Juventus, Palermo e Sampdoria già eliminate).
La coppa più piccola – come la coppa Italia – interessa soltanto a primavera inoltrata, quando c’è un’annata storta da salvare con l’obiettivo minimo. Obiettivo minimo che diviene ingombrante a inizio stagione successiva, quando tutti sono ancora presi dal fuoco sacro per il campionato. Peccato che proprio anche da qui passi la strada che conduce alla Champions League e se dal 2012-13 avremo appena tre squadre il (de)merito sarà di chi ha permesso alle dirette rivali di raccogliere punti preziosi in Europa League.