Novanta minuti da disputare e un solo verdetto da emettere (a meno che qualcuno non osi ancora professare ottimismo in casa Juventus per l’Europa League…). E’ quello che assegna l’ultimo posto utile per la Champions League, il settore della classifica dove è avvenuta la rivoluzione più interessante se si eccettua la zona retrocessione dove è caduta – con colpe esclusivamente personali – la Sampdoria. Dopo il suicidio sportivo della Roma, la quarta posizione è una corsa a due tra Udinese e Lazio, con la prima nuovamente in vantaggio dopo aver rispettato il pronostico e aver battuto il Chievo. Francesco Guidolin si trova in una situazione oggettivamente di forza, sia per il punto in più sia per la possibilità di chiudere il campionato contro un Milan già ampiamente appagato dallo scudetto. Ma non è questo il discorso da approfondire quanto, piuttosto, la pattuglia con cui l’Italia andrà ad affrontare la prossima Champions. Che sarà l’ultima edizione – è utile ricordare ancora una volta – con quattro nostre rappresentanti al via.

Una formazione sbilanciata verso il nuovo che emerge. Milan e Inter sono due presenze abituali nel torneo. Napoli e Udinese e/o Lazio quasi delle debuttanti. I campani vi hanno preso parte due volte, quando ancora si parlava di coppa dei Campioni: un’eliminazione ai sedicesimi e una agli ottavi. I friulani si sono presentati una sola volta al torneo, buttati fuori nella fase a gironi. I biancocelesti sono i più esperti: cinque volte al via, quasi sempre eliminati all’inizio, con i quarti nel 2000 come massimo traguardo. Squadre che si presenteranno con grande entusiasmo ma con quanto peso sportivo è tutto da capire. Perché serviranno investimenti conseguenti per non saltare come tappi di bottiglia (il Chievo ripescato nell’anno di Calciopoli e la Sampdoria di oggi insegnano), perché occorrerà una maturità internazionale tutta da generare.

 

E questo porrà dei grossi ostacoli alla rincorsa italiana al terzo posto della Germania nel ranking Uefa. Una rincorsa zavorrata non soltanto dalla qualità del nostro calcio ma anche dallo scarso peso specifico di tutto il movimento. In Germania hanno chiuso la Bundesliga con un nuovo record di spettatori, più di 13 milioni per una media a incontro di oltre 42mila persone. Il risultato di una politica di fidelizzazione del tifoso e della determinazione nel costruire stadi che fossero per il calcio e (non solo) per chi va a vederlo. Da noi si assiste all’ennesimo litigio sulla torta dei diritti tv e all’ennesimo confronto tra le presunte grandi e le cosiddette piccole. E non ci rendiamo conto che rischiamo di ritrovarci a essere nani in Europa per lungo tempo.