MILAN CAMPIONE D’ITALIA – La chiave di lettura l’ha fornita Fabio Capello: il Milan ha interrotto l’egemonia dell’Inter e ha conquistato lo scudetto numero 18 puntando sulla solidità della fase difensiva. Proprio come fatto dall’attuale ct dell’Inghilterra che, una volta trovatosi privo degli straordinari interpreti offensivi ereditati da Arrigo Sacchi, aveva puntato sulla compattezza della retroguardia, vincendo il titolo nel 1994 con sole 36 reti realizzate ma appena 15 incassate. Lo squilibrio non è così evidente nella squadra di Max Allegri però è significativo come i rossoneri siano arrivati al successo prendendo solamente 23 gol, con un dato eclatante rappresentato dal girone di ritorno, in cui appena sei squadre sono riuscite a superare la cerniera difensiva creata di fronte ad Abbiati (straordinario comunque di suo). Una superiorità garantita dagli interpreti (l’eccellenza dalla coppia Nesta-Thiago Silva, la consacrazione di Abate, la riscoperta di Zambrotta) e aiutata, comunque, dall’equilibrio garantito da una squadra intera.
Perché è stata possibile grazie alla forza del centrocampo e alla dedizione di gente in possesso di eccellente tecnica ma che ha capito come fosse necessario sacrificarsi per il bene comune (Robinho e Seedorf). In questo modo la difesa ha sopperito in diversi frangenti alle assenze di chi era deputato a far gol per motivi disciplinari (Ibrahimovic) e fisici (Pato e Inzaghi), conservando con ferocia anche il poco che si concretrizzava là davanti. Ma sarebbe riduttivo pensare a una squadra capace di interpretare il possesso palla unicamente come arma difensiva. Perché il Milan ha dalla sua un attacco secondo soltanto a quello dell’Inter, a ulteriore dimostrazione di come la ricerca del gol non sia mai stata casuale, come si è visto anche nella serata contro la Roma (specialmente dopo l’intervallo). Uno scudetto che, come è stato più volte ripetuto, ha un eccellente autore-attore in Allegri.
Il tecnico debuttante non solo ha confermato la tradizione degli italiani vincenti sulla panchina rossonera (Arrigo Sacchi, Fabio Capello, Alberto Zaccheroni e Carlo Ancelotti) ma ha dato alla squadra un’identità e, soprattutto, un orgoglio che un’estate fa pareva impossibile immaginare: ha rinvigorito vecchi guerrieri (Gattuso e Zambrotta), ha avuto le idee giuste (Boateng traquartista), ha gestito casi potenzialmente scabrosi (Ronaldinho prima e Pirlo oggi), ha posto le basi per aprire un ciclo. Anche perché ha avuto la fortuna di trovare un Berlusconi nuovamente pronto a investire nel giocattolo preferito e un Galliani abile a livello di mercato, in Italia come in Europa: la scommessa Boateng, l’affare Ibrahimovic, l’intuizione Robinho e il colpo da maestro Van Bommel sono i passaggi di cui andare fieri. Un Milan tornato a dominare in Italia e pronto a reinserirsi tra le grandi in Europa. Un passaggio, quest’ultimo, che servirebbe a tutto il calcio italiano, decadente quando mette il naso fuori dai patrii confini. E’ stato il Milan vincente a livello continentale ad aprire la strada alle altre italiane negli straordinari Anni 90. Lo dice una storia fatta di quattro Champions League, tre coppe delle Coppe e sei coppe Uefa colorate di tricolore. E il fatto che Inter, Juventus e Roma stiano pensando a investimenti di sostanza è il segnale che la sfida è stata accolta.