Il quarto mandato ottenuto da Joseph Blatter come presidente della Fifa, le richieste dei pm al processo napoletano per Calciopoli, l’ennesima puntata del calcioscommesse in Italia deflagrata a Cremona: non è un bel momento per il pallone. Uno non fa in tempo a chiudere gli occhi per riassaporare la bellezza di quanto ha offerto la finale Champions di Wembley (e, fatte le debite proporzioni, quella di coppa Italia all’Olimpico) che, quando li riapre, si ritrova circondato da nefandezze. Il potere per il potere è il filo conduttore di queste tre vicende. A Zurigo l’ineffabile colonnello dell’esercito svizzero reitera la propria forza assoluta sul movimento mondiale del pallone, un dominio che dura incontrastato dal 1998. Anche i numeri di quest’elezione non lasciano dubbi: 186 sì su 203 votanti, percentuali bulgare. Come bulgaro è il sistema che si tramanda all’interno della Fifa. Chi prova a porre un bastone tra le ruote, può finire in un cono d’ombra come essere blandito con nuove responsabilità che riportano – in entrambi i casi – all’ordine. Armi che Blatter sa adoperare benissimo. E così tutte le accuse di corruzione e tangenti rimangono materia di lavoro per cronisti investigativi e mai per chi volesse realmente capire come funzionano suddivisione dei ruoli e assegnazione dei Mondiali: Russia 2018 e Qatar 2022 su tutti.

Allo stesso modo il potere per il potere è quello che si sta cercando di processare a Napoli. Le zone scure rimangono più ampie di quelle in chiaro, come era emerso chiaramente fin dalle prime mosse di Calciopoli. Ci sono contatti proibiti, atteggiamenti sgradevoli, accordi possibili. Si ha però ancor oggi la sensazione che manchi la pistola fumante, la prova regina che inchiodi ognuno alle proprie responsabilità. Rimane invece netta la convinzione che molti di quelli passati dalle parti di Napoli non abbiano avuto a cuore il destino del calcio italiano quanto, piuttosto, la propria parte. O il proprio tornaconto. Come capitato, ancora una volta in maniera clamorosa – e dolorosa –, con l’inchiesta sul caso scommesse avviata a Cremona. Anche in questo caso si può parlare di potere per il potere: il potere dei soldi possibilmente facili, piazzando scommesse su partite combinate, convinti di poter farla franca. Come se la storia non avesse insegnato niente da questo punto di vista, soprattutto oggi quando, chi investiga, possiede mezzi di lavoro superiori a quelli di trent’anni fa, all’epoca del primo grande calcioscommesse. Pure in questo caso, come per quanto sta avvenendo a Napoli, occorre non gettarsi sul facile giustizialismo così apprezzato in Italia. Ma c’è un’impressione di sgradevolezza, in tutto quanto sta emergendo, che è più forte di un’eventuale condanna finale.

Una sgradevolezza che nasce non solo – come detto per Blatter e per Calciopoli – dal potere per il potere ma anche dall’impressione di impunità che trasmette la maggior parte di persone e personaggi che ruota intorno al pallone. Da altre parti si cerca di costruire: la filosofia alla base del fenomeno Barcellona, il disegno di un calcio che riparta dai ragazzi in Germania, i centri di formazione in Francia. Da noi il pallone è invece solo sinonimo di soldi e potere. Soldi possibilmente facili e totale disinteresse per il bene comune. Così il nostro calcio precipita nella considerazione internazionale tra Federazioni e Leghe arroccate sui rispettivi egoismi, presidenti abili a scannarsi sui contributi tv, dirigenti incapaci di disegnare una prospettiva che vada oltre la prima sconfitta, allenatori posti in continua discussione, giocatori che corrono a chiedere un ritocco quando compiono il loro dovere oppure di cambiare squadra appena non si sentono valorizzati, tifosi pronti a fare i giornalisti e giornalisti pronti a fare i tifosi.

Tutti poi a scattare in piedi e ad applaudire il Barcellona quando domina il mondo, senza domandarsi come sia arrivato fin lì, come abbia costruito un comune sentire dai più giovani alla prima squadra, come abbia rinunciato ai campioni per puntare su gente non aliena al sacrificio, come sia arrivato a essere il più bravo di tutti concedendo – a chi ne aveva bisogno – il tempo necessario per costruire. La materia prima esiste anche da noi, mancano muratori e capicantiere.