Dirlo a manifestazione in corso può essere rischioso per chi sostiene l’argomentazione, ma la coppa America è stata finora la sagra delle occasioni mancate. O meglio: dei protagonisti attesi e invece clamorosamente assenti. E se per i più giovani questo può anche essere un aspetto perdonabile (basti pensare a uno come Neymar, forse caricato di responsabilità più grandi di lui), altrettanto non può dirsi per Leo Messi. Un’assenza che comincia a diventare fonte di imbarazzo per il giocatore ritenuto il fenomeno dei nostri tempi. Anche perché c’è un abisso tra il Messi che dispensa il suo verbo con la maglia del Barcellona e quello timido che si vede in Albiceleste. Una sensazione suffragata da una rottura continua quando si tratta di manifestazioni di un certo livello. Nel Mondiale 2006 Messi poteva essere compreso, reduce da un infortunio serio, ancora ragazzino e non pienamente tenuto in considerazione da Pekerman in una squadra comunque buttata fuori solamente ai rigori dalla Germania ai quarti. Più preoccupante, invece, quanto (non) si è visto un anno fa al Mondiale sudafricano e oggi alla coppa America: Messi appare uno dei tanti, incapace di fare la differenza e di sollevare la squadra da un gioco privo di lampi.

E forse è proprio qui l’aspetto su cui indagare: la squadra. Perché Leo Messi, pur argentino, è il prodotto perfetto della Cantera del Barcellona. Là, come raccontano estasiati tutti gli addetti ai lavori che hanno modo di conoscere la realtà catalana. non si persegue il risultato ma una filosofia: quel 4-3-3 fatto di calcio associativo e recupero del pallone che impedisce agli avversari di capire qualcosa di quanto sta avvenendo.

 

Un martellamento (senza scordare la tecnica, sia ben chiaro) che comincia da piccoli e conduce fino alla prima squadra, dove chiunque è in grado di dare il proprio contributo pur non eccellendo per qualità singole. Un sistema di cui Messi è parte importantissima, ma sempre e comunque all’interno di un pensiero comune. Quello che fa la differenza tra il Barcellona, dove lo si impara anche per osmosi, e una rappresentativa nazionale, dove è maledettamente più complicato creare un simile comun sentire. Dove soltanto se ti chiami Diego Armando Maradona (oppure Pelé) puoi scrivere la differenza tra la tua squadra e quelle che affronti. E questo può essere un piccolo tentativo di contribuire a chi tenta oggi di stabilire chi sia stato il più grande nel calcio.