Uno dei derby più brutti della storia consegna il Milan a una stagione all’insegna dell’anonimato, almeno in Italia. Rossoneri puniti dall’ennesimo errore su palla inattiva e incapaci di recuperare negli 86 minuti successivi, e dopo un secondo tempo giocato con l’uomo in più per l’espulsione di Nagatomo. Squadra leggera nelle iniziative e zoppicante negli uomini-chiave (su tutto l’involuzione di Boateng), Galliani potrà usare la parola scudetto solo per le barzellette future. E anche il terzo posto pare un’ipotesi irrealizzabile, se non cambia il passo: la quart’ultima posizione è oggi molto più vicina, due punti contro otto. L’Inter esce rafforzata dalla prova più dal punto di vista dell’autostima che da quello del gioco: quest’ultimo non s’è visto, anche per la scelta tattica di dare campo al Milan dopo il vantaggio e per la difficoltà provocata dell’inferiorità numerica. Atteggiamento da provinciale, parola che farà rizzare i peli a Stramaccioni, ma quantomai opportuna. Per aspirare a un ruolo da grande si attende ancora un miglioramento nel gioco e nella personalità. Ciò che possiede il Napoli in versione campionato. Dimenticati gli affanni di Eindhoven e Udinese messa sotto sia pure con qualche fatica, vista la bravura tattica di Guidolin. Ma quanto basta per tenere il passo della Juventus in testa.
La Juventus, per l’appunto. A Siena solamente nel finale trova il bandolo della matassa in una partita complicatissima. Inevitabilmente emerge il peso specifico complessivo del gruppo, che ha la meglio su un’avversaria votata in tutto il secondo tempo esclusivamente alla fase difensiva. Ma la partita ha evidenziato – se ce ne fosse stato ancora bisogno – come quest’anno la Champions League sarà una scomoda compagna di viaggio, visto che non si può mandare le seconde linee in Europa come fa il Napoli in Europa League. La Juventus ha difettato in lucidità: impossibile non dover fare i conti con impegni sfiancanti fisicamente e mentalmente come quello vissuto martedì in compagnia dello Shakhtar. E questa sarà una costante per tutto l’anno, anche se Conte – almeno in Italia – potrà avvalersi di un organico che appare superiore a quello del resto della compagnia. A proposito di organici, ha stupito il modo in cui Zeman ha gestito il suo. Si sapeva della giubilazione di Burdisso, dopo la non-prova contro la Juventus. Ha stupito enormemente vedere invece esclusi Osvaldo e, soprattutto, De Rossi, anima giallorossa designata come erede futuro di Totti. Il campo ha dato ragione al tecnico: enormi fatiche contro l’Atalanta ma primo successo all’Olimpico.

Quella di Zeman non appare comunque una scelta tecnica quanto, piuttosto, un chiaro segnale alla squadra: io alleno e io decido, chi non s’adegua si può accomodare. Un disegno in cui l’allenatore dovrà avere il sostegno necessario e obbligato della società per poter essere credibile. Torna prepotente la Lazio, di cui Hernanes è divenuto leader dichiarato grazie alle scelte tattiche di Petkovic, il Catania si conferma implacabile in casa, la Fiorentina cresce giornata dopo giornata. Corini e la coppia Pulga-Lopez salutano con un successo il cambio di panchina per Chievo e Cagliari mentre Prandelli guarda sempre con attenzione a quanto capita in campionato, convocando Gilardino, El Shaarawy e Candreva. Per questo potrebbe apparire un controsenso non vedere Cassano, ma il ct ha segnato una strada e intende percorrerla fino in fondo. Consapevole che le critiche fanno parte del gioco.