Tempo tre settimane e lo sport italiano è di nuovo in lutto. Ancora una morte sul campo, ancora un cuore che tradisce. Il 24 marzo era toccato a Vigor Bovolenta accasciarsi al suolo durante un gara di B2, ieri il destino ha messo la parola fine sulla vita di Piermario Morosini. Una carriera meno prestigiosa, rispetto al centrale che aveva scritto la storia del volley. Ma una morte di certo più eclatante, perché avvenuta non soltanto sotto gli occhi di chi stava assistendo a Pescara-Livorno ma anche davanti allo sguardo di chi stava seguendo la partita in televisione. E per il centrocampista dei toscani la notizia ha finito per amplificarsi nel giro di pochi minuti, fino a toccare ogni angolo del mondo, grazie a vecchi e nuovi media. In questo modo è stato anche possibile elaborare immediatamente il lutto, passando da una prima ipotesi di un minuto di silenzio fino alla scelta di sospendere – per un turno – ogni tipo di impegno calcistico, dalla serie A fino ai campionati giovanili.
Una scelta andata a colpire l’affetto – ma non soltanto – della gente. Ma una scelta che pare più frutto di una reazione che di un ragionamento. Perché il modo migliore per onorare la memoria di Morosini sarebbe stato facendo quello che lui amava di più al mondo e che l’aveva reso più forte e più certo in una vita che duramente l’aveva colpito («Quanti incontri veri e stupendi, quante consapevolezze su quanto di bello ho nel mio vivere», aveva recentemente twittato): scendere in campo e giocare a pallone. Soltanto prendendo sul serio fino in fondo se stessi e gli impegni della vita si rende onore a un compagno o a un amico morto. E sarebbe stato sicuramente più bello vedere il mondo del pallone – per una giornata – vivere il proprio lavoro nella lucida coscienza di chi non c’era più. Una coscienza che avrebbe aiutato a essere più certi del gesto che si stava compiendo, più consapevoli del proprio ruolo. Avrebbe potuto rappresentare un primo passo di un rinnovato inizio, che invece non si intravede per nulla in Italia.
Ricordiamo pure Morosini senza giocare. Basterà questa domenica e poi tutto tornerà tristemente come prima, in attesa del prossimo rigore non concesso, della prossima dichiarazione polemica e – purtroppo – della prossima partita chiacchierata. Senza alcuna speranza di essere redenti, senza alcun desiderio di essere ridestati al proprio destino da un segno così potente come la morte di un giovane calciatore sul campo.