E’ il giorno di Spagna-Italia, inaspettata finale di Euro 2012. Inaspettata perché tutti pensavano a un confronto tra i campioni in carica e la Germania, invece il nuovo che avanza è stato fermato dagli azzurri. Fermato con merito, si è scritto e detto, per la maturazione collettiva evidenziata dalla squadra di Cesare Prandelli dal 10 giugno in poi. E’ una finale tra maestro e allievo. Maestro perché Vicente Del Bosque (e, con lui, Pep Guardiola a Barcellona) ha voluto insegnare come un altro gioco sia possibile. Un gioco fatto di palleggio e personalità. A volte è magari un catenaccio travestito da pressing in area avversaria, ma che riesce sempre a trovare una via verso la porta e doverosamente ricordando che la Spagna è priva per infortunio del suo bomber principe, David Villa. Allievo perché Prandelli non ha mai nascosto di prendere la Spagna non come modello ma come punto di riferimento: impossibile essere uguale a lei ma necessario il tentativo di un cambio di direzione. Così è stato, perché l’Italia ha seguito le parole del suo commissario tecnico, facendo del possesso palla, della proposta, dell’attacco ragionato i punti di forza all’Europeo. I segnali confortanti sono stati sparsi in ogni partita, per poi deflagrare clamorosamente nella semifinale contro la Germania.

E’ la giornata della ricerca dei traguardi storici. La Spagna insegue il “triplete” Europeo-Mondiale-Europeo mai riuscito ad alcuna nazione. Del Bosque cerca la doppietta Europeo-Mondiale come fece Helmut Schoen conquistando da ct l’Europeo nel 1972 e il Mondiale nel 1974 con l’allora Germania Ovest. L’Italia vuole tornare a primeggiare nel continente, c’è riuscita una volta soltanto nel 1968 dopo aver battuto l’Unione Sovietica in semifinale grazie a una monetina amica e la Jugoslavia in una doppia finale dopo il pareggio nel primo tentativo. Ha poi perso la finale nel 2000, per mano del golden gol di Trezeguet. Sul piano del gioco le due finaliste sembrano equivalersi. Chiellini ha ragione quando dice: “Nella prima partita non eravamo brocchi noi e non erano marziani loro”. 

La distanza era comunque marcata, ora pare essere ridotta più sensibilmente. La fatica è stata tanta, dopo stagioni logoranti per campionati e coppe che hanno prosciugato quasi tutte le energie. Oggi conteranno le qualità collettive delle squadre sul piano dell’organizzazione e le motivazioni. E gli italiani, che non hanno vinto tanto quanto gli spagnoli, possono mettere qualcosa in più a loro favore sotto questo aspetto.