Prendete la classifica: a sinistra apre la Juventus, a destra comanda (eufemismo) il Milan. Mondi che si erano vieppiù distanziati nelle ultime stagioni e che oggi appaiono lontani, lontanissimi. La Juventus aveva avuto qualche dubbio a fine stagione sul rapporto con Antonio Conte, cui cominciavano ad arrivare segnali dall’estero nonostante un accordo fino al 2015. E gli addetti ai lavori avevano avuto a loro volta qualche dubbio sulle capacità bianconere di riproporsi ad alti livelli per il terzo anno consecutivo. In pochi mesi Conte ha spazzato gli interrogativi sulla sua voglia di continuare in Italia e la squadra sul suo presunto appagamento. Il 4-1 di Cagliari mette un timbro di fuoco su un girone d’andata mai visto e chiuso a 52 punti, uno in più dell’Inter 2006-07, che però viaggiava in un contesto stravolto da Calciopoli (proprio con i bianconeri in serie B), che aveva portato campioni disorientati a cercare ingaggi in nerazzurro e tolto alle avversarie i mezzi per essere efficaci. La Juventus ha realizzato tutto questo in una situazione in cui le dirette rivali non sono state appesantite da fattori esterni e in qualche caso (vedi il Napoli) si sono rafforzate. Lo dimostra come sia i campani sia la Roma abbiano migliorato rispetto alla passata stagione. Ma la Juventus un anno fa aveva girato proprio con i 44 attuali punti giallorossi, questo vuol dire un incredibile +8, frutto di un cammino in cui soltanto la Fiorentina ha saputo batterla con un secondo tempo incredibile e in cui la sola Inter ha potuto strappare un pareggio. Per il resto le avversarie sono state annichilite (ricordare gli scontri diretti con Roma e Napoli) mentre le opponenti meno prestigiose sono state messe sotto in assoluta scioltezza. Basti l’attuale dato delle undici vittorie consecutive, andato a migliorare quello delle dieci (che già sembrava un’impresa) della Roma di inizio stagione. La Juventus ha battuto un record stabilito nel 1931-32, Conte è entrato di diritto nella storia bianconera. E vi entrerà ancor più se centrerà il terzo titolo consecutivo, pur se Roma e Napoli – con le vittorie su Genoa e Verona – stanno cercando di dare un senso al torneo, ancor più rendendosi attive sul mercato.
Al polo opposto della Juventus c’è il Milan, caduto sotto le fantastiche quattro reti di Domenico Berardi (19 anni e mezzo e, come ben si sa, già controllato dai bianconeri: la progettazione non si improvvisa). Imbarazzante il modo in cui è arrivata la sconfitta, dopo che i rossoneri erano andati sul 2-0 dopo appena 13 minuti: squadra slegata e lasciata in balia di se stessa, con gente carica di anni di pallone a commettere errori da esordienti. E’ stata la settima caduta in campionato, la più bruciante. E che potrebbe costare il posto ad Allegri, il quale ci ha messo molto di suo, per le scelte tecniche e per il modo in cui si è sempre fidato delle direttive aziendali, salvo poi ritrovarsi a fare conti con realtà non ipotizzate. Una scelta – quello dell’esonero – che potrebbe arrivare come una liberazione per tutti ma che non deve nascondere le colpe di una società, che prima non ha avuto la forza di cambiare gestione tecnica affidando la squadra a un allenatore in scadenza (e si sa quali sono le dinamiche che si innestano in simili situazioni) e poi ha vissuto una guerra interna tra la solida rendita di Adriano Galliani e il rampantismo di Barbara Berlusconi, come mai si era visto da quelle parti. E con risultati disastrosi, non solamente nell’immediato: le prospettive di salvare la stagione appaiono fragili, quanto lo è la squadra.