“Tesla cala in Germania. L’auto tedesca trema”. Così “La Stampa” ha accolto la notizia che Elon Musk ha scelto Berlino come sede della sua prima Gigafactory in Europa, che sfornerà le Model 3 per i consumatori europei. Il titolo tradisce il riflesso condizionato (a me, vecchio della busiarda ben noto) che ricorda i tempi di Cesare Romiti in cui la Fiat era dipinta come l’avamposto della fortezza Italia assediata dai barbari, giapponesi in testa, e s’invocava la politica economica non per sollecitare più investimenti in ricerca e innovazione, bensì per proteggere con sussidi e barriere il campione nazionale.
Ahimè, la fortezza è stata espugnata una volta per tutte. E la conferma, caso mai ve ne fosse bisogno, arriva da Carlos Tavares, il numero uno di Peugeot, che si è assunto sulle spalle l’onore/onere di guidare Fca verso una sfida senz’altro complessa, soprattutto per quel che riguarda gli impianti italiani del gruppo. Intervistato da “Les Echos” che gli chiedeva ragioni dell’alta valutazione del gruppo italiano-americano nell’ambito della fusione, Tavares ha rilevato che “il prezzo è giustificato dalla governance”, un modo delicato per dire che la società transalpina ha pagato un premio di maggioranza nell’ambito di un acquisto, mica di una fusione alla pari.
Intanto ci tocca rilevare che, alla luce delle reazioni da Berlino, non risulta traccia delle paure tedesche nei confronti di Tesla. L’imprenditore/inventore è stato premiato dalla “Bild”, il colosso della stampa popolare. Alla cerimonia era presente Herbert Dies, numero uno di Volkswagen, che ha accolto il concorrente con parole di augurio ed elogio. Intanto i tedeschi si sono attrezzati per la sfida a tutto volt in mille modi: un brusco taglio delle spese non essenziali (-1,3 miliardi per Daimler) accompagnato da giganteschi investimenti per l’elettrico di massa (la Id.3 Volkswagen) e di lusso (la Taycan targata Porsche, diretta concorrente di Tesla). Ma anche la creazione di un nuovo polo industriale nei pressi della capitale che, oltre a Testa, ospiterà la joint venture Bmw/Daimler sulla mobilità elettrica, laddove Volkswagen ha piazzato nei pressi della stazione centrale della capitale il quartier generale di Moia, il car pooling elettrico destinato a persone che si muovono sugli stessi percorsi e vogliono condividere il tragitto. Sempre Volkswagen sta per costruire a Salgitter una sua fabbrica di batterie. Angela Merkel ha intanto ribadito la volontà di installare un milione di colonnine per l’auto elettrica nonché un numero adeguato di centri di assistenza.
Insomma, una vera operazione di politica industriale: programmazione, collaborazione tra politica e industria, certezza sui tempi e, non meno importante condivisione degli obiettivi da parte di pubblico e privato. Anche la Francia, seppur con mezzi più modesti, opera nella stessa direzione, come dimostra il fatto che il primo commento del ministro dell’Economia Bruno Le Maire a Fca/Psa sia stata la conferma degli investimenti per un grande polo delle batterie in Europa, cui ora si potrà agganciare Fiat Chrysler, emancipandosi dai dibattiti stucchevoli sugli incentivi sull’auto elettrica che periodicamente spuntano nel Bel Paese.
Purtroppo, la politica industriale dalle nostre parti rimane un fantasma. Chi può, se ne emancipa rifugiandosi in Europa. Non solo Fca, naturalmente.