Alla vigilia dell’introduzione del green pass, gli esperti avevano messo in guardia sull’affidabilità dei tamponi rapidi, tra quelli più usati perché garantiscono un risultato rapido. Ma uno studio italiano li mette sotto accusa. È quello del Ceinge di Napoli, un lavoro condotto un anno fa che ha coinvolto pazienti positivi in diverse fasi della malattia ricoverati all’Aou Federico II. Nella relazione firmata da Ettore Capoluongo, Giuseppe Castaldo e Massimo Zollo, responsabili del laboratorio della Task force coronavirus, si evidenziava come i test rapidi antigenici «per ora non offrono sufficienti garanzie in termini di percentuale di casi positivi identificati».
Il Ceinge, quindi, ne sconsigliava l’impiego, dichiarando apertamente che sono «assolutamente da evitare, soprattutto se il prelievo oro-naso-faringeo venisse effettuato da personale medico non adeguatamente addestrato». Così come sono sconsigliati «se i test venissero eseguiti al di fuori del contesto di un laboratorio, da parte di professionalità non esperte nella interpretazione del dato e dei possibili errori metodologici». Inoltre, sottolineano la necessità di «un adeguato programma di controllo di qualità che il laboratorio comunemente esegue».
ANCHE CRISANTI STRONCA I TAMPONI RAPIDI
Il dibattito sui tamponi, e in particolare sui test rapidi antigenici, continua nella comunità scientifica a due anni dall’inizio della pandemia Covid. Li ha sempre bocciati Andrea Crisanti, professore ordinario di microbiologia all’Università di Padova, il quale ha ricordato come questi test usati in Veneto «si lasciano sfuggire tre positivi ogni dieci, con una percentuale di falsi negativi che si attesta al 30%». Lo studio sopracitato attestava una sensibilità pari al 50%, quindi un test antigenico «riesce a identificare un caso positivo su due, e i test salivari, sia quello molecolare classico sia quello antigenico rapido, mostrano una sensibilità compresa fra il 20% e il 30%». Invece il tampone molecolare ha un’affidabilità superiore al 95% e se lo si effettua sia nel naso che nella gola ha un’affidabilità del 100% per Giovanni Maga, direttore dell’istituto di genetica molecolare del Consiglio nazionale delle ricerche di Pavia.
LE DUE DIVERSE METODICHE
Il problema del tampone antigienico, ha spiegato a Il Messaggero, è che «cerca le proteine del virus e non c’è bisogno di alcun passaggio di amplificazione, quindi se la quantità di virus è bassa questo test rischia di non rilevarlo proprio». C’è poi una questione di metodiche differenti. La meno sensibile è quella “cromatografica”, che ha un tasso di affidabilità attorno al 60%. «In media è possibile che una persona su 2 o una persona su 3 risulti negativa quando invece ha il virus perché in quel momento ne aveva troppo poco e non è stato rilevato». Molto meno frequenti, invece, i falsi positivi. L’altro metodo si chiama “chemiluminescente” e richiede un laboratorio attrezzato. «La sua affidabilità quindi è più vicina a quella del tampone molecolare, anche se non raggiunge completamente la percentuale del 95%. Il limite è che non è altrettanto rapido rispetto al tampone che segue la metodica cromatografica».