Cos’è e come funziona il Test del DNA nelle indagini forensi

Questa sera durante la diretta su Rai 1 di Farwest si tornerà a parlare – a quasi 13 anni di distanza – dell’omicidio di Yara Gambirasio, con l’attenzione puntata sul colpevole (condannato all’ergastolo in via definitiva) Massimo Bossetti: l’uomo venne incastrato dopo tre anni e mezzo d’indagini grazie ad un Test del DNA fatto su alcuni resti trovati sugli slip della ragazzina. Una prova – di fatto, secondo una sentenza del 2004 della Cassazione – schiacciante e che lasciò ben pochi dubbi all’accusa e ai giudici sulla colpevolezza del muratore bergamasco; ma contemporaneamente (forse anche a causa dell’eco mediatica che si sviluppò attorno al caso) sono in moltissimi che ancora oggi dubitano sull’efficacia di quel Test del DNA, ipotizzando un errore nel laboratorio di analisi, oppure addirittura una qualche cospirazione ai danni di un incensurato Massimo Bossetti.



Prima di addentrarci nella diatriba sul caso di Yara Gambirasio e sulla colpa del muratore, vale la pena fare una rapida digressione sul funzionamento tecnico/scientifico del Test del DNA: il punto di partenza è sempre un campione (saliva, sangue, sperma, capelli e così via) della persona che si sta cercando. Dal campione si estrae il DNA con una serie di composti chimici e macchinari che viene poi – per renderlo più ‘lungo’ e semplice da usare – sequenziato: si ottiene così una serie di ‘basi’ nucleotidiche che sono in parte uguali tra tutti gli esseri della stessa specie (escluse ai fini delle indagini) e in parte ereditate dai genitori, identificative della discendenza di un individuo e unici per ognuno di noi, anche se fratelli gemelli.



Come si è arrivati a Massimo Bossetti con il Test del DNA

Per arrivare a Massimo Bossetti con il Test del DNA ci sono voluti – appunti – più di tre anni, nel corso dei quali gli inquirenti hanno condotto una serie di analisi a tutte le persone che in qualche modo potevano essere entrate in contatto con la ragazza: si arrivò a tre fratelli, con un genoma molto simile a quello trovato sugli slip di Yara, ma non probatoriamente identico. Così l’ipotesi degli inquirenti fu che tra ‘Ignoto 1’ – poi identificato come Massimo Bossetti – e i fratelli che fosse una parentela di sangue e con la riesumazione di loro padre, Giuseppe Guerinoni, ottennero con un altro Test del DNA una somiglianza ancora più lampante.



Dal padre sono risaliti poi ancora ad una donna di Terno d’Isola (che non ha mai confermato questa storia) con cui l’uomo avrebbe avuto una relazione in passato e un figlio – tecnicamente due gemelli – illegittimo. La maglia si è stretta rapidamente attorno a Massimo Bossetti, con un ultimo Test del DNA che ha confermato definitivamente una somiglianza (quasi, perché il campione raccolto su Yara non era puro, ma mischiato a quello della ragazza) del 100%.

I dubbi (e la verità scientifica) su Massimo Bossetti: perché si parla di DNA mitocondriale

Ma – quindi – perché c’è chi dubita dell’attendibilità del Test del DNA su Massimo Bossetti e, di conseguenza, sulla sua colpevolezza nel caso Gambirasio? È presto detto, ma dobbiamo tornare alle indagini, perché dopo essere risaliti al muratore dal padre, gli inquirenti hanno svolto un secondo test sul genoma ‘mitocondriale’, ottenendo un esito negativo. In altre parole, il campione di Ignoto 1 non corrisponderebbe a quello della sua presunta madre, aprendo in moltissimi al dubbio che forse non si tratti veramente di Massimo Bossetti.

Ora, facendo un passo indietro, è importante sottolineare due cose: la prima è che il cosiddetto DNA mitocondriale è ereditato da tutte le persone esclusivamente dalla madre; la seconda è che quasi mai vengono fatti Test forensi sul DNA materno, dato che quello ‘nucleare’ (ovvero ereditato da madre e padre) è ritenuto sufficientemente attendibile. Inoltre, è bene ricordare che la presunta madre di Massimo Bossetti ha sempre rifiutato di sottoporsi a qualsiasi nuovo Test del DNA e la corrispondenza tra i due non è mai stata verificata oltre che con il campione raccolto su Yara.

Un punto – quest’ultimo – che è molto importante perché la ragione per cui i medici legali non usano quasi mai il DNA mitocondriale è legato anche alla sua resistenza: il genoma nucleare, infatti, non si degrada neppure a distanza di mesi, mentre a quello mitocondriale bastano pochi giorni e il corpo della ragazza fu trovato solamente tre mesi dopo la scomparsa, abbandonato in balia delle intemperie.