Questo articolo vorrebbe essere, nel giorno dedicato in tutto il mondo all’Alzheimer, un commento su una notizia che Il Sussidiario ha già meritoriamente proposto all’attenzione dei lettori nella sua crudezza. In sintesi. In un ospedale della Grande Aquitania 350 malati affetti da Alzheimer e Parkinson sono stati sottoposti a un esperimento selvaggio. Un professore abbastanza famoso avrebbe ricavato dalla melatonina una molecola da lui ritenuta portentosa nel settore delle malattie neurovegetative. Senza alcun permesso o controllo, sulla base della propria presunzione, ha proposto e ottenuto il corpo e la mente di questi esseri umani per incerottarli nella notte così che questa sostanza (la valentonina) facesse effetto nel loro organismo. Poi il mattino: prelievo del sangue, e poi i 350 rispediti a casa o nelle strutture di cui erano ospiti.



Immaginiamo la scena. Quando un emissario o il professore medesimo si è avvicinato accennando a questa cura nel deserto della speranza di guarigione. Certo a chi è in una fase iniziale della degenerazione non sarà parso vero di poter provare un sedicente trattamento miracoloso, oltretutto indolore, e che almeno rallenti il precipizio. Chi non direbbe di sì?



Io direi di sì, d’istinto. Sbaglierei. Così avrei sbagliato dando l’autorizzazione nel caso un mio congiunto non fosse più in grado di esprimere un libero consenso. Mi auguro non mi capiti e nel caso di aver la forza di denunciare il ciarlatano. Non si deve cedere, non si fa. Occorre accettare il vaglio non di stolide burocrazie ma della comunità scientifica nella sua espressione di massima competenza e saggezza. Gente che auspico non sia rinchiusa nei suoi protocolli inamidati e intangibili ma aperta alla ricerca senza pregiudizi. Il passaggio alla sperimentazione sugli esseri umani deve obbedire a regole di sicurezza estrema. Non ci sono da sacrificare come nelle ricerche dei nuovi Mengele soggetti soli e deboli. Nessuno, specie se è fragile, può essere catturato con la vendita di un’illusione a poco prezzo.



Parlo da ignorante? In un certo senso, diciamo prosaico e accademico, senz’altro. In quell’altro senso, e avete già intuito quale intendo, so tutto, o quasi tutto. È la lezione che ti fornisce il ricevere e dare amore a chi soffre ed è più te di te stesso. Non sono mica un caso né unico né raro. Siamo tanti ad avere questa cognizione del dolore. L’errore è credersi soli, isolarsi: bisogna imparare a mettersi insieme, non solo durante l’accadere del dramma, ma anche dopo, non lasciandolo riposare, spartendolo invece con il resto del mondo.  

Insomma. Gli esperti di Alzheimer e Parkinson siamo tutti noi che abbiamo avuto i nostri cari afferrati e poi trascinati nella dimenticanza di tutto o al soffocamento e infine alla morte da questi due morbi. Non siamo scienziati. Esperti però sì, perché amando le persone ammalate, abbiamo compreso due cose che ci hanno trasmesso con gli occhi a volte spaventati e più spesso riconoscenti.

1) La debolezza estrema, l’atroce impotenza  di nostra madre, sorella, nonno davanti al morbo che smantella i muri solidi della memoria, che è il basamento dell’esistenza. 2) La sicurezza che i malati, anche quando sembra frantumarsi l’esteriorità della loro coscienza, e  pare prevalere il nome della malattia rispetto a quello con cui li chiamava la mamma nella culla, sono  totalmente PERSONE (tutto maiuscolo), anime vive, perché la persona non si misura dalla carrozzeria e neanche dalla cilindrata del motore fisico e intellettuale, ma da un’essenza invisibile e amata dal Padre (e da noi). Il mio discorso non è fideistico. Nasce dall’essere stato accanto (poco, troppo poco) a mia mamma. Mai, mai non è stata lei. Mai si è perduta la dignità, anche quando alla fine era un passerotto accartocciato, con i suoi begli occhi spalancati.

Non so dire molto altro. Sappiamo che la ricerca è stata abbandonata da alcune grandi case farmaceutiche dopo aver sbattuto contro il muro dell’insuccesso. Ma questi muri non vanno sfondati abusando della mitezza e dell’inermità delle persone affette da questi morbi, trattandoli come vasi vuoti. Non sono vasi vuoti, c’è dentro un pieno di anima.