Test sulla saliva al posto dei tamponi nella lotta contro il Coronavirus? Potrebbe essere una pista percorribile, come si evince da un nuovo studio condotto dai ricercatori dell’Università di Yale. pubblicato su Medrxiv e ripreso da “Il Giornale”. “Abbiamo scoperto – scrivono gli esperti – che la carica virale della saliva era significativamente più alta in quelli che hanno manifestato un aumento della gravità della malattia e mostrava una capacità superiore rispetto alla carica virale rinofaringea nel predire la mortalità nel tempo”.
Un’analisi condotta su 154 pazienti ha rivelato che una forte carica virale presente nella saliva era associata a una maggiore gravità della malattia. “Questa carica virale è stata associata a molti marcatori infiammatori Covid-19 e a citochine di risposta immunitaria di tipo 1“, si legge nel documento. Detto in altre parole, l’evoluzione dell’infiammazione è stata riscontrata attraverso i test salivari e non con i tamponi tradizionali, che ormai tutti abbiamo imparato a conoscere.
TEST SALIVA AL POSTO DEI TAMPONI? POSSIBILE SVOLTA NELLA LOTTA AL COVID
In conclusione, il test della saliva potrebbe rivelarsi molto più utile dei consueti tamponi, in quanto esso “riflette soltanto la replicazione virale del tratto respiratorio superiore, fondamentale per la trasmissione del Coronavirus, ma non di quello inferiore, la chiave della gravità della malattia. La saliva può rappresentare meglio ciò che sta accadendo nel tratto respiratorio inferiore”. Chiaramente, si tratta di risultati ancora in attesa di conferma e che necessitano di ulteriori sperimentazioni per essere individuati come verità scientifica, ma, come dichiarato in esclusiva a “Il Giornale” dal professor Marco Falcone, ricercatore di Malattie Infettive presso l’Università di Pisa, “anche se il numero dei pazienti studiati non è molto alto, ci offre un’interpretazione innovativa della patologia: per la prima volta, su un sito che solitamente non viene testato come quello della saliva, la carica virale può diventare un marcatore del virus per prevedere quanto sarà grave la malattia da Covid-19. Da un punto di vista prognostico e dell’approccio terapeutico potrebbe cambiare le cose”.