I test sugli anticorpi consentono di stabilire se una persona sia sana? Secondo l’immunologo Alberto Mantovani no: lo ha specificato in un’intervista rilasciata a Il Corriere della Sera, nella quale ha preso spunto dal dibattito sulla patente di immunità che alcuni governatori regionali hanno chiesto per la riapertura del prossimo 3 giugno. Mantovani si è rifatto alle dichiarazioni dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, dicendo che questi test per la ricerca di anticorpi al Coronavirus sono certamente utili “per valutare la prevalenza e la diffusione del virus e in alcune condizioni cliniche”, ma è escluso che possano indicare lo stato di salute del singolo rispetto al contagio da Covid-19: nello specifico, la presenza di una certa quantità di anticorpi non è la spia di una risposta immunitaria che protegga dall’infezione, o comunque non è ancora stato stabilito.



L’immunologo ha parlato dei test che Governo e Regione Lombardia ha scelto, definendoli validi; delle centinaia di test in commercio oggi, secondo Mantovani molti non sono stati validati in maniera rigorosa. Il riferimento è soprattutto alla Gran Bretagna, che “ne ha acquistato e buttato via 35 milioni rivelatisi inaffidabili”. Il problema risiede anche nella risposta della singola persona, la quale potrebbe pensare di essere immune e dunque decidere di non utilizzare la mascherina e non rispettare il distanziamento sociale, finendo invece per ammalarsi e portare in giro il virus. In seguito, Mantovani è passato a spiegare il perché non esistano evidenze sul fatto che gli anticorpi rendano immuni dal Coronavirus: la spiegazione, non nuova, riguarda il fatto che questo nuovo tipo di virus si comporta in modo diverso rispetto a quanto siamo abituati a vedere.



I TEST SIEROLOGICI NON GARANTISCONO L’IMMUNITA’

“Nella risposta immunitaria classica prima arrivano gli anticorpi di classe IgM e poi a distanza di giorni quelli di classe IgG: questi ultimi sono generalmente neutralizzanti, ma il problema del Coronavirus è che segue strade diverse e dunque le due immunoglobine possono comparire contemporaneamente o anche invertite, di conseguenza “quando ci sono gli anticorpi IgG è possibile che il virus sia ancora presente ed è per questo che serve il tampone per escluderlo”. Di conseguenza, anche rispetto all’esperienza della Sars che aveva un’immunità di 2-3 anni, e di cui il Sars-CoV-2 è parente, è ragionevole pensare che una volta risultati guariti dal Coronavirus si possa essere immuni per un certo lasso di tempo; solo che, come ha sottolineato l’immunologo, spesso e volentieri chi viene contagiato da questo virus è asintomatico oppure si ammala in modo blando, ed è per questo che la risposta immunitaria indotta non è certa di essere protettiva.



Tradotto, si potrebbe comunque rischiare una nuova infezione; dopo aver effettuato il test sierologico, ha spiegato Mantovani, possono succedere tre cose. Prima: il soggetto risulta negativo ma potrebbe in realtà avere il virus, “perché la risposta immunitaria può comparire fino a distanza di 15-20 giorni dall’esposizione” e dunque una persona può essere contagiosa senza saperlo. Seconda: test sierologico positivo e persona che ha già eliminato il virus, oppure test positivo ma virus ancora presente perché ci sono gli anticorpi, quindi “la battaglia è ancora in corso e questo lo può scoprire solo il tampone. Per l’immunologo i test sierologici sono comunque utili per definire le indagini epidemiologiche, tanto che si può scoprire che il personale sanitario di alcune strutture Humanitas venuto in contatto con il Coronavirus non abbia avuto grandi differenze rispetto al resto della popolazione – per questo Mantovani invita le persone a tornare in ospedale per farsi curare malattie di tipo diverso; riguardo il virus attenuato “nessuna delle 5000 sequenze genetiche in banca dati indica una cosa simile, ne ragioneremo quando qualcuno porterà le prove sulle riviste scientifiche autorevoli”.