“Viviamo in una società che consuma tutto subito e vuole tutto subito, la medicina però ha i suoi tempi” afferma il professor Giuliano Rizzardini, responsabile della prima Divisione di Malattie Infettive dell’Azienda Ospedaliera “Luigi Sacco” di Milano. Le parole di Rizzardini sono particolarmente significative in questo tempo di emergenza coronavirus, dove, per motivi anche giustificabili, tutti vorremmo che questo incubo finisse al più presto: che si trovasse il vaccino, che tutti guarissero, che si tornasse alla vita a cui eravamo abituati.
In questo senso la notizia dell’inizio di test sierologici che sulla carta permetterebbero di scoprire se le persone colpite dal virus hanno sviluppato anticorpi, sono cioè guarite davvero, sta suscitando grandi aspettative: “In tre mesi e mezzo, da quando la Cina ha annunciato ufficialmente la comparsa del virus, la medicina ha fatto passi da gigante. Pensiamo alla diagnosi per l’acuto tramite il tampone o alla diagnostica per l’identificazione di anticorpi. Il test sierologico è un passo in più per capire chi ha sviluppato anticorpi, se sono davvero protettivi e per quanto tempo lo sono”.
In cosa consiste il test sierologico e che affidabilità ha?
Ci sono due aspetti. Il test di diagnostica viene fatto in acuto, che in questo momento è la ricerca diretta del virus attraverso il tampone. Quando c’è un agente batterico virale il sistema immunitario si muove e forma degli anticorpi che ci impiegano giorni a svilupparsi, prima in un modo e poi mano a mano con una durata più lunga.
Dove sta la novità?
Il test sierologico ci dice se uno è venuto a contatto con l’agente infettato. Ad esempio, se una persona ha contratto il morbillo, il test ci fa capire se si sono sviluppati anticorpi in occasione di inoculazione di vaccini. Nel nostro caso ci serve a capire se si è venuti a contatto con il coronavirus.
Sapremo se le persone guarite lo sono davvero?
Nella fattispecie quello che non sappiamo ancora è se si sono sviluppati anticorpi realmente protettivi, la quantità degli anticorpi stessi, e soprattutto non sappiamo per quanto tempo questi anticorpi sono protettivi o no.
Con il test potremo saperlo?
È un passo in più sul percorso che stiamo facendo. La combinazione di tampone e test ci dovrebbe permettere di ricostruire la malattia e capire se il sistema immunitario funziona. È un passaggio importante.
Sapere quante persone hanno sviluppato anticorpi contro il virus consentirebbe di svolgere indagini epidemiologiche per capire effettivamente quanto il virus si è diffuso?
Sì, finora non esiste uno studio epidemiologico su scala nazionale.