“Giovanni Testori nella città contemporanea”: il titolo del ciclo che il Centro culturale di Milano sta dedicando allo scrittore inevitabilmente doveva approdare al testo più intenso e drammatico con Milano come scenario. Si tratta di In Exitu, nato come romanzo e pubblicato da Garzanti nel 1988, portato in scena da Franco Branciaroli, con la compagnia degli Incamminati, allora diretta da Emanuele Banterle. In Exitu è la storia di Riboldi Gino (prima il cognome e poi il nome…), giovane figlio di famiglia operaia, vittima dell’eroina e risucchiato in una spirale di depravazione e sfruttamento, che lo porta alla morte nei bagni della Stazione Centrale di Milano. Proprio alla Stazione era stato rappresentato il 13 dicembre 1988, con il pubblico assiepato sulle grandi scalinate che portavano ai binari. Lo spettacolo aveva avuto un esordio da battaglia alla Pergola di Firenze, con la contestazione di parte del pubblico – un pubblico da teatro stabile.
In Exitu continuò poi la sua programmazione nel gennaio 1985 in un teatro in periferia, l’Out Off diretto da Antonio Sixty. L’aspetto “intollerabile” di In Exitu non consisteva tanto nella durezza della vicenda e del linguaggio a cui Testori fa ricorso per eliminare la distanza, ma paradossalmente nella salvezza finale con la visione di Cristo che prende tra le sue braccia il protagonista, nella sua agonia nella conca del water della stazione dopo essersi iniettato l’ultima dose.
Proprio questo finale, tenero e tremendo, ascolteremo dalla voce di un’attrice conquistata dalla lingua di Testori: è Anna Della Rosa, protagonista straordinaria di una recente messa in scena di Cleopatràs con la regia di Valter Malosti.
C’è un filo conduttore in questa ultima, intensissima fase di Testori: è il terremoto che opera dal punto di vista della lingua, adottando per ogni testo soluzioni diverse, tutte all’insegna di una libertà che permette alla parola di farsi tutt’uno con la corporalità della storia. Nel caso di In exitu, la lingua è come un singhiozzo, è spezzettata, ferita. Procede per continue cadute, per interruzioni. Le parole smarriscono le ultime sillabe, sembrano esauste come esausta è la vita del protagonista. È una lingua che toglie il respiro non solo a chi la porta in scena, ma anche a chi l’ascolta. Infatti ci arriva veicolando una tale densità di vissuto da cui è impossibile estraniarsi: si è subito della partita, affettivamente presi da quella narrazione ansimante.
Di questa prorompenza della parola come cuore del teatro, Luca Doninelli, curatore della rassegna, parlerà (stasera, alle 18.30) con Giovanni Anfuso, regista e direttore del Teatro Stabile di Catania. Nel corso dell’incontro Anna Della Rosa leggerà altre due pagine tratte da due testi degli ultimi anni di Testori, dove la lingua viene ancora una volta rivisitata e “reinventata” sul corpo dei personaggi protagonisti. Ascolteremo la lingua barbara e contadinesca di Elettra in un passaggio di sdisOrè, riscrittura dell’Oreste. E ascolteremo quella affilata e insieme nostalgica di Cleopatra, che per Testori diventa Cleopatràs: la lingua infatti riplasma anche i nomi. In questo caso Testori però prende il nome da Dante. Del resto è a Dante che si rifà il modello dei Tre Lai, cioè lamenti, pensati come tre cantiche, che iniziano con Cleopatràs, ipostasi dell’inferno. Poi seguono Erodiàs e Mater Strangoscias (la Madonna sul corpo di Cristo morto), rispettivamente Purgatorio e Paradiso. Per molti è questo il capolavoro di Testori.
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