Janet Yellen, già Presidente della Fed e oggi segretario del Tesoro dell’Amministrazione Biden, lunedì ha avvisato la “politica americana” che il tempo sta scadendo e che non manca molto al raggiungimento del tetto del debito americano. Il segretario del Tesoro, in un’intervista video a Bloomberg, ha spiegato che “non c’è alcuna buona soluzione per l’economia americana e i mercati finanziari al di fuori di un innalzamento del tetto” senza cui ci sarebbero “considerevoli danni economici e finanziari”; gli Stati Uniti, in assenza di un accordo politico sull’innalzamento del tetto, ha continuato Janet Yellen, dovrebbero fare default o sul proprio debito oppure sulle spese sociali. Le conseguenze economiche, finanziarie e sociali, in questo caso sarebbero difficilmente contenibili e si aprirebbe una fase di incertezza i cui contorni sono difficili da stimare.
Di questa possibilità sui mercati non ci sono molte tracce. Se ne può trovare qualcuna nel recente rafforzamento del dollaro; anche se è controintuitivo il mercato in questo caso sceglie il biglietto verde perché lo scenario di volatilità finanziaria che si aprirebbe sarebbe globale e quindi si ritornerebbe sulla valuta di riserva.
La parte democratica e quella repubblicana devono raggiungere un accordo per arrivare a un innalzamento del tetto. Ieri, il repubblicano McCarthy, speaker della Camera, ha cominciato il gioco dello scaricabarile dando la colpa a Biden che finora si sarebbe rifiutato di sedersi al tavolo; il Presidente in carica, che ha uno degli indici di approvazione più bassi di sempre, starebbe, sempre secondo McCarthy, sottovalutando il problema esattamente come ha sottovalutato il problema immigrazione. È una dichiarazione preventiva perché è nel partito repubblicano che si vive la corrente della politica americana più ostile al debito. Tra qualche settimana, se mai le probabilità del fallimento di un accordo dovessero salire, saranno i democratici a puntare il dito contro i repubblicani responsabili, potenzialmente, delle catastrofi previste da Janet Yellen. Sullo sfondo di queste discussioni ci sono le elezioni presidenziali del 5 novembre 2024. Nessuno vuole fare campagna elettorale da responsabile di una crisi economica e finanziaria.
La scommessa su un accordo che guardi alla campagna elettorale è una possibile ragione della tranquillità dei mercati. L’altra è la scommessa che le turbolenze finanziarie di un default americano o, più probabilmente, dell’interruzione del pagamento degli stipendi pubblici e dei sussidi, farebbero cambiare la politica monetaria della Fed in senso espansivo.
L’aumento del tetto del debito a prima vista è l’unica opzione buona possibile secondo le parole di Janet Yellen. Si gioca sulla miopia del grande pubblico che vede benissimo le conseguenze di breve periodo e molto meno quelle di lungo. Esattamente come il diluvio di emissioni di moneta e sussidi “gratis” durante e dopo i lockdown si sono tramutate nella tassa dell’inflazione e in una serie di bolle per cui ufficialmente non c’è spiegazione, come quella immobiliare, così l’innalzamento del debito è “gratis” e invece il suo contrario un’apocalisse finanziaria. Bisognerebbe chiedersi come mai un Paese così geloso delle libertà individuali e così spaventato dal possibile strapotere dello Stato debba passare, periodicamente, da un accordo bipartisan sull’innalzamento del debito. La ragione è che la spesa fuori controllo rischia di trasformarsi in un enorme meccanismo in cui si trasferiscono soldi e potere politico dai cittadini verso lo Stato. L’inflazione mangia i risparmi e l’autonomia che garantiscono, soprattutto senza crescita, e lo Stato decide l’allocazione delle risorse sulla base di un’ideologia, inevitabile, che può essere economicamente sbagliata o, in qualche modo, contro l’uomo della strada.
Esattamente come spetta alla politica decidere l’innalzamento del debito così si pone la necessità di una discussione su come uscire da almeno venti anni di tassi bassi che non sono stati innocui né per la distribuzione della ricchezza, né per la creazione di bolle che, per esempio, danneggiano più che proporzionalmente chi è all’inizio della propria carriera lavorativa e deve affrontare tutti i costi della “prole”.
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