Negli Stati Uniti l’inflazione ad aprile è scesa al 4,9%, ai minimi da due anni. E questa è sicuramente una buona notizia. Tuttavia, oltre ai timori sullo stato di salute del sistema bancario, vi sono quelli di una possibile recessione nel corso dell’anno, che potrebbe essere favorita dal mancato accordo sull’innalzamento del tetto al debito, che deve essere varato, oltre che dal Senato, anche da un Congresso in maggioranza Repubblicano. Il Presidente Biden proseguirà nei prossimi giorni le trattative per evitare il default. Abbiamo fatto il punto con Domenico Lombardi, economista ed ex consigliere del Fondo monetario internazionale, ora Direttore del Policy Observatory della Luiss.
Cominciamo dal dato sull’inflazione di aprile.
Con la discesa al 4,9% tendenziale si conferma un trend discendente di dieci mesi consecutivi dopo il picco del 9,1% registrato lo scorso giugno. Approfondendo l’analisi, tuttavia, possiamo notare che l’inflazione core, pari ad aprile al +5,5%, è scesa rispetto al picco dello scorso settembre (+6,6%), ma è relativamente stabile rispetto agli ultimi mesi. Tuttavia, se poi si escludono le spese legate all’abitazione, l’inflazione ad aprile è aumentata “solo” del 3,7%. C’è, quindi, un graduale costante miglioramento della dinamica inflazionistica. Credo sia comunque utile osservarla nel più ampio quadro economico americano.
Cosa si può dire in proposito?
Il mercato del lavoro continua a mostrare una significativa resilienza – il tasso di disoccupazione è sceso al 3,4%, il valore più basso dal 1969 – e dinamicità (ad aprile sono stati creati più di 250.000 nuovi posti di lavoro). D’altro canto, le condizioni del mercato del credito si stanno, però, inasprendo significativamente. In parte, ciò è ovviamente dovuto alle scelte di politica monetaria. Non dobbiamo, infatti, dimenticare che in pochi mesi i tassi di intervento della Fed sono aumentati di cinque punti percentuali. Ma anche la crisi bancaria, che sembra non essersi totalmente sopita, sta avendo un effetto nel restringere ulteriormente le condizioni di credito. Ed è importante monitorare questa dinamica.
Perché?
Perché ogni qualvolta c’è stato un inasprimento delle condizioni del mercato del credito, a seguire si è verificata una recessione. Non a caso già oggi osserviamo una dinamica del Pil in rallentamento (+1,1% nel primo trimestre, sotto le attese, e significativamente inferiore allo stesso dato del trimestre precedente) e l’aspettativa è che gli Usa entreranno in recessione nel secondo semestre dell’anno.
Sulla base di questo quadro economico, come si muoverà la Fed nei prossimi mesi?
Gli ultimi dati sull’inflazione rafforzano l’opinione di chi ritiene che la Fed sia estremamente vicina al raggiungimento del tasso terminale. Del resto, le aspettative dei mercati finanziari sono di tre tagli dei tassi entro la fine dell’anno:in sostanza, ritengono che la Fed abbia completato il suo ciclo di inasprimento della politica monetaria e che possa cominciare dall’estate ad allentarla.
Veniamo ora al tetto al debito. Non è la prima volta che viene raggiunto negli Stati Uniti e che si creano delle tensioni politiche per innalzarlo…
Il tetto è stato istituito nel 1917 per limitare l’indebitamento in seguito all’ingresso degli Stati Uniti nella Prima guerra mondiale. Dal 1960 a oggi, il tetto è stato innalzato ben 78 volte e attualmente è paria a 31,4 trilioni di dollari. È interessante ricordare il precedente del 2011, con Obama Presidente e Biden suo vice, peraltro alla guida dei negoziati per innalzare il tetto. Alla fine un accordo venne raggiunto nelle ultime ore utili, ma la più importante agenzia di rating, Standard & Poor’s, abbassò il rating sovrano degli Usa. La conseguenza fu un innalzamento dei tassi di interesse che, secondo il Government Accountability Office, solo quell’anno costò agli Stati Uniti 1,3 miliardi di dollari, una sorta di tassa occulta per i cittadini.
Si riuscirà a trovare un accordo anche questa volta?
È molto probabile che ciò avvenga, sebbene il calendario parlamentare non sia di aiuto. Infatti, il Congresso non si riunirà nel periodo dal 29 maggio al 5 giugno, mentre il Senato dal 22 al 29 maggio. Quindi, una soluzione dovrà essere trovata la settimana prossima oppure c’è il rischio di andare ben oltre il 1° giugno, indicato dalla Segretaria al Tesoro Yellen come data limite prima che l’attuale tetto venga superato, con il rischio che non si possano, tra le altre cose, pagare stipendi pubblici e pensioni, finanziare la sanità o la difesa. In ogni caso c’è il rischio che, come nel 2011, la situazione possa almeno in parte sfuggire di mano, con la conseguenza finale di aumento dei tassi di interesse che paradossalmente aggraverebbe quello squilibrio della finanza pubblica che in qualche modo sta alimentando lo scontro attuale tra Democratici e Repubblicani. Credo sia interessante, al di là di questo scontro, evidenziare l’esistenza di un problema più strutturale.
Quale?
Quello riguardante l’equilibrio della finanza pubblica americana. Nel decennio 2005-14, il debito americano è stato in media pari all’86% del Pil, mentre nell’Eurozona all’80%. Secondo le previsioni del Fmi, nel prossimo quinquennio il debito/Pil americano dovrebbe superare il 136%, mentre quello dell’Eurozona dovrebbe attestarsi all’85,4%, sempre nel 2028. Come si può vedere, c’è oggettivamente un problema di squilibrio della finanza pubblica degli Stati Uniti, in parte mitigato dal ruolo del dollaro quale moneta di riserva mondiale, ruolo che rischia però di essere compromesso dallo stesso andamento del debito.
In caso di downgrade si aggraverebbe ancora di più la situazione bancaria, visto che aumenterebbero i rendimenti dei titoli di stato?
Le conseguenze sarebbe duplici. Da un lato, aumenterebbero in modo potenzialmente significativo i tassi di interesse sui titoli di stato americani, facendo scendere il valore di quelli già emessi, con conseguenze avverse sui bilanci di quelle banche che li detengono. Peraltro, questo è stato il principale fattore alla base della crisi della Silicon Valley Bank. Dall’altro lato, si determinerebbe un contesto di più generale incertezza, con un inasprimento della dinamica recessiva già oggi prevista, ma che questo evento renderebbe ancora più significativa, quindi più profonda nella dimensione, ma forse anche nella durata.
(Lorenzo Torrisi)
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