BANGKOK (Thailandia) – Parlare di Thailandia evoca subito un’immagine di templi, spiagge e massaggi esotici ma, alle spalle delle foto di copertina, c’è la realtà di un Paese importante e stabile, per molti versi unico nel panorama asiatico.

Monarchia costituzionale, con un’economia in buona crescita, un reddito di 19mila euro pro-capite e al 6° posto nel mondo come livello di assistenza sanitaria, la Thailandia (Regno del Siam fino al 1949), è insomma una realtà consolidata di 70 milioni di abitanti.



A fine agosto è stato eletto il nuovo primo ministro Srettha Thavisir, la cui nomina ha chiuso la lunga parentesi di incertezza politica seguita alle elezioni generali del 14 maggio, tenutesi senza incidenti, che a loro volta dovrebbero aver definitivamente posto termine al lungo periodo di indiretto controllo politico dei militari che, in passato, hanno condizionato spesso la vita del Paese.



Forze armate che a volte sono rimaste dietro le quinte, ma che in altre occasioni hanno invece represso con durezza le proteste esercitando il governo effettivo del Paese prima e dopo la scomparsa del re Bhumidol Adulyadey (Rama IX) che ha governato la Thailandia per oltre 60 anni, dal giugno 1946 al 13 ottobre 2016, un sovrano molto amato e rispettato dai propri sudditi. Il suo successore, il figlio secondogenito Vajiralongkom (Rama X) è invece personaggio molto discutibile, non ha certo il carisma del padre ed è anche per questo che la figura del nuovo primo ministro sarà fondamentale nel futuro dello Stato.



Mentre prosegue nel suo evidente sviluppo economico, il fatto nuovo e potenzialmente strategico è che la Thailandia – da decenni fedele alleata degli Usa – sta guardando con sempre maggior attenzione alla Cina, che da anni investe sia nelle infrastrutture che nel turismo, tanto che oggi i visitatori occidentali sono nettamente in minoranza rispetto a quelli dei paesi asiatici, Cina in testa.

Proprio Pechino sta man mano sostituendo gli Stati Uniti anche nelle forniture militari e lentamente la diffidenza verso il dragone cinese si attenua in una tendenza che sembra irreversibile.

Si parla poco e malvolentieri a Bangkok di questo aspetto strategico, mentre il dibattito politico si è piuttosto concentrato sui limiti della legge per “lesa maestà” (era ed è vietato parlare male del re, ma la norma verrà attenuata) che ha contraddistinto la campagna elettorale e la lunga crisi politica che è seguita alle elezioni non essendo uscita una maggioranza chiara dalle urne, tanto che il nuovo governo di coalizione si reggerà principalmente sull’alleanza tra il secondo e il terzo partito del Paese, il Pheuthai e il Bhuhjasthai.

Se è vero che il nuovo primo ministro Thavisir si è laureato in economia negli Usa, ama il calcio (è notoriamente super tifoso del Liverpool) ed è di evidenti interessi e gusti occidentali, è ancora tutta da scoprire proprio la sua futura politica verso la Cina, mentre Bangkok ci tiene per ora a sottolineare anche la particolare attenzione ed equidistanza con Taiwan in un interscambio a grandi cifre.

La Thailandia non è infatti solo una meta turistica ma una robusta realtà industriale, un’economia solida sottolineata da un cambio del Bath (la moneta locale) stabile negli anni e dove il costo della vita è – almeno per noi occidentali – assolutamente conveniente. Un paese dove un’attenzione speciale è però dedicata anche all’istruzione, alla difesa non solo militare ma anche dell’ambiente ed alle condizioni di lavoro che richiamano immigrati dai Paesi vicini, soprattutto Cambogia e Myanmar, l’ex Birmania.

Un Paese che cresce: lo si nota osservando la sicurezza nei cantieri, il livello delle infrastrutture, la pulizia maniacale nei locali pubblici e sui mezzi di trasporto. Non una scritta, un graffito, una carta per terra: Bangkok ha circa 14 milioni di abitanti che sciamano 24 ore al giorno tra nuovi palazzi imponenti e templi vecchi di secoli. Si lavora anche di notte e mentre crescono i grattacieli ci si sposta sottoterra e con monorotaie modernissime.

È impressionante vedere il traffico, ma anche come l’aria sia significativamente più pulita di tanti anni fa, quando gli scarichi di scooter e “tuk tuk” (le tradizionali motocarrozzette, oggi rimaste soprattutto per i turisti) la rendevano irrespirabile. Non ci sono zone chiuse al traffico ma tanti posteggi multipiano, niente divieti tipo “Euro 5” ma un attento controllo degli scarichi godendo di una rete autostradale intorno a Bangkok molto più moderna delle capitali europee.

Una Thailandia che guarda al futuro restando economicamente in mano soprattutto ad alcune famiglie di notabili, che convive e rispetta però la sua anima più antica e guidata da un buddismo insito negli abitanti che li porta quasi naturalmente al rispetto verso l’autorità costituita, la cortesia, la tolleranza in un rapporto interreligioso di assoluto rispetto per tutti, anche se nel sud del Paese si affacciano tensioni con la locale comunità islamica, religione ufficiale nella confinante Malesia.

Un Paese che ha però chiesto formalmente l’adesione ai Brics. Il segnale di una progressiva scelta di campo, una volta di più nell’apparente disinteresse del G7 e dell’Occidente.

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