Alcuni personaggi di finzione hanno saputo fissarsi tanto a fondo nel nostro immaginario collettivo da garantirsi un posto fisso sul grande schermo. Re Artù, Robin Hood, Sherlock Holmes: non passa decennio senza che ci venga proposto un adattamento delle loro storie, tra rivisitazioni, decostruzioni e reinterpretazioni. Può sembrare strano accostare Batman a queste storiche icone, ma è passato quasi un secolo da quando il cavaliere oscuro ha preso vita sulle pagine dei fumetti DC e più di trenta dalla sua prima versione cinematografica. Tim Burton e Joel Schumacher, Christopher Nolan e Zack Snyder, ognuno ha fatto suo il personaggio, approfondendone determinati tratti e trascurandone altri. Matt Reeves, ultimo di questa schiera di registi, ha realizzato un film colossale, della durata di tre ore e ispirato, in teoria, a celebri albi quali Anno Uno e Il Lungo Halloween. Ma tale dispiego di mezzi non basta a rispondere alla domanda cruciale: ha senso portare l’ennesima trasposizione di questo personaggio sul grande schermo?
L’elusivo milionario Bruce Wayne (Robert Pattinson) passa le notti a terrorizzare i criminali di Gotham nei panni di vigilante mascherato, in una sorta di personale crociata contro la malavita. Quando però il commissario Gordon (Jeffrey Wright) lo contatta per rintracciare un assassino noto come l’Enigmista (Paul Dano), Batman dovrà sbrogliare una rete di inganni, corruzione e fantasmi del passato. Una trama che forse non ci si aspetterebbe da un film di supereroi, per molti versi simile a quella di un thriller alla Seven o Zodiac. D’altro canto Batman è anche conosciuto come il più grande detective del suo mondo, e questa è la prima pellicola che ce lo mostra alle prese con un’indagine: tra false piste, errori, testimoni chiave e corse contro il tempo l’intreccio non sfigurerebbe in un noir vecchio stile, e a dispetto di qualche superficialità riesce a mantenere alta l’attenzione per tutta la sua durata.
Non è solo il ruolo da detective a distinguere questa nuova iterazione dell’eroe. A differenza del suo predecessore Christian Bale, Robert Pattinson passa gran parte del suo minutaggio dentro al costume. Il suo Batman emerge dalle ombre come l’antagonista di un film dell’orrore, e riesce a risultare una presenza imponente affidandosi unicamente alla postura e allo sguardo. A dispetto di questa teatralità il Battinson, così chiamato affettuosamente dai fan, è un vigilante alle prime armi: non solo deve ancora affinare il suo modo di combattere e muoversi per Gotham, ma l’etica stessa del personaggio si definisce soltanto al termine delle tre ore di film, pur presentando da subito le proprie fondamenta.
Pattinson ha definito il suo Bruce Wayne un “emo”, e non ha tutti i torti: le sue scene in abiti civili non mostrano l’affascinante filantropo a cui siamo abituati, ma un giovane taciturno e trasandato che non si cura né del mondo esterno, né dell’eredità di famiglia. Non esattamente un individuo stabile, come ci evidenzia il suo discorso introduttivo, ma nel corso della pellicola saprà spogliarsi dei suoi pregiudizi e ossessioni per diventare ciò che Batman davvero rappresenta: un simbolo di giustizia e di perseveranza di fronte a ogni avversità.
Un’interpretazione di alto livello, una regia che conferisce ulteriore gravitas al protagonista, un taglio investigativo. Manca ancora un ingrediente per riassumere l’identità del nuovo Batman, e questo ingrediente sono le mazzate che tira. Scherzi a parte, le scene d’azione sono ben dosate e coreografate, con scontri corpo a corpo che ricordano l’acclamata serie di videogiochi Batman Arkham. Questo cavaliere oscuro finora è quello che pesta più forte – merito anche del sound design che ti fa percepire ogni colpo fin dentro alle ossa -, ma anche quello che incassa di più, in virtù della sua scarsa esperienza. A questo proposito una delle maggiori falle del film, che per quanto possibile si propone come “realistico”, è proprio la quantità di traumi e colpi che subiscono vari personaggi senza colpo ferire. Se la cosa può passare per Batman, vedere civili coinvolti in incidenti catastrofici o subire colpi di arma da fuoco salvo poi star bene cinque minuti dopo incide negativamente sulla sospensione dell’incredulità, ma non sulla spettacolarità delle sequenze, prima fra tutte l’inseguimento d’auto rivelato nei primi trailer.
Se Batman è il protagonista indiscusso della pellicola, l’ambientazione merita a pieno titolo il secondo posto: la Gotham City di Matt Reeves è una metropoli tecnologica ma al tempo stesso gotica, costantemente ammantata dalla pioggia, dove corruzione e disuguaglianze sono opportunamente nascoste sotto una facciata in lento disfacimento. Ma è grazie ai comprimari della pellicola che la città prende davvero vita, uno più riuscito dell’altro: Catwoman (Joe Kravitz) fa da contraltare a Batman e incarna quel lato di Gotham che lui ha sempre ignorato; il commissario Gordon si scontra col degrado delle forze dell’ordine e crea col nostro eroe una dinamica alla buddy movie; il Pinguino (Colin Farrell) e il mafioso Carmine Falcone (John Turturro) incarnano la malavita locale, uno un grottesco comic relief, l’altro terrificante nella sua compostezza. Ciliegina sulla torta è l’interpretazione di Paul Dano nel ruolo dell’Enigmista: le manie da inventore di rebus di questo serial killer e il suo aspetto innocuo celano una mente contorta i cui ragionamenti ricordano quelli di fanatici in carne ed ossa, abbracciando temi come l’emulazione e la radicalizzazione via Internet.
Un ultimo plauso va a due aspetti tecnici: la colonna sonora di Michael Giacchino regala una serie di brani che rimangono impressi, il mio preferito dei quali è il tema di Catwoman, mentre la fotografia di Greg Fraser è spettacolare, tutta giocata sul rosso e sui neon che segnano come lampi una Gotham immersa nel buio.
The Batman è un film perfetto, quindi? Certo che no: a volte è un po’ superficiale, altre volte è pretenzioso, come quando mostra il compimento del percorso dell’eroe tramite immagini al limite del cristologico; resta un blockbuster che vorrebbe far partire una saga, e tutti gli indizi che puntano a eventuali sequel possono dar noia allo spettatore che desidera vedere una storia fatta e finita. Tuttavia, è un’opera realizzata da gente che sa fare il proprio mestiere, si è documentata ed è riuscita a proporre la propria interpretazione di esso in una veste nuova. Questo Uomo-Pipistrello si discosta sia dai precedenti adattamenti, sia dal panorama a volte piatto dei cinecomic odierni, e scommetto che lascerà il segno ben più a lungo della concorrenza.
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