I dieci dischi migliori dei Beatles? No, non si può. Primo perché ne hanno inciso, nel corso della loro breve carriera solo tredici, includendo anche Yellow submarine che è una colonna sonora e Magical mystery tour, pubblicato nel Regno Unito come un doppio EP (ma in America, giustamente, come un vero e proprio album). Va detto che fino a Revolver, gli lp pubblicati in Inghilterra e quelli in America contenevano brani diversi: il mercato statunitense prevedeva album composti da dieci o dodici tracce, e la Capitol Records, licenziataria per il mercato USA dei Beatles, si adeguava a questo escludendo alcune fra le quattordici tracce che generalmente formavano un lp britannico, ma comunque in un modo o nell’altro i brani erano gli stessi, non c’erano inediti fra un mercato e l’altro.  E quindi che senso avrebbe su tredici dischi lasciarne fuori tre? Secondo, e più importante, i Beatles hanno inciso solo dischi belli, anzi magnifici, anzi superlativi. Capolavori. Per cui dieci dischi migliori non si può proprio sentire. Più interessante allora sarebbe stilare una lista dei dieci migliori 45 giri. Ma anche questo è un lavoraccio ingrato, nei loro confronti. Allora abbiamo pensato di concentrarci su quei 45 giri che quando uscirono contenevano brani inediti che poi non sarebbero stati inclusi in alcun lp. Naturalmente oggi queste canzoni sono incluse in dozzine di raccolte, ma rimangono delle tracce uniche, di bellezza formidabile che se fossero state incluse negli album a cui stavano lavorando, ne avrebbero anche cambiato la percezione. Abbiamo selezionato quelli che per noi sono i cinque migliori.



1. Strawberry Fields Forever/Penny Lane (17 febbraio 1967)

E’ il 17 febbraio del 1967 quando esce un 45 giri che sconvolgerà il mondo, lanciando le avvisaglie che qualcosa di ancor più sorprendente sta bollendo in pentola. Dall’estate dell’anno prima, i Beatles, esausti, hanno deciso di non esibirsi più dal vivo. Sono entrati in studio e sembra che non ne escano più. Cosa diavolo ha in mente il gruppo che, con l’eccezione di Revolver uscito nell’agosto 1966, fino allora aveva sfornato due album all’anno? Stanno lavorando a quello che per qualcuno sarà il più grande e innovativo album della storia, Sgt. Pepper’s Lonely hearts club band, che uscirà contemporaneamente (anche questa è una novità) nei negozi di dischi di tutto il mondo il primo giugno 1967. Per calmare i fan in crisi di astinenza, i Beatles decidono di lanciare un “antipasto”: col senno di poi, tutti capiranno che i due brani del singolo (sul lato A Strawberry fields forever, su quello B Penny Lane, anche se in realtà il 45 giri uscirà come unico doppio lato A, visto che le due canzoni sono giustamente considerate paritarie) sono superiori a tutto quello che di comunque meraviglioso c’è nell’album e che ne sono parte imprenscindibile. John Lennon e Paul McCartney ormai da tempo compongono per conto proprio, sebbene si aiutino sempre a perfezionare e migliorare le canzoni. Curiosamente, entrambe le canzoni (il lato A è opera di Lennon, il B di McCartney) affrontano lo stesso argomento: i ricordi di infanzia nella loro città natale, Liverpool, visti con le lenti distorte dell’Lsd. “Strawberry Field” era il nome di un orfanotrofio situato in Beaconsfield Road, a Woolton, Liverpool , vicino alla casa d’infanzia di Lennon dove lui e i suoi amichetti di infanzia erano soliti giocare nel giardino alberato dietro l’edificio. Come tutti i brani a cui lavoravano nel periodo, anche questo richiese lunghissime ore di lavorazione e cambiamenti. Alla fine si optò per un compromesso: una versione orchestrale arrangiata da George Martin venne inserita a metà di un’altra in cui i quattro si erano esibiti usando mellotron, chitarra elettrica, pianoforte, cimbali e lo swarmandel  (uno strumento indiano). La canzone ha un andamento sognante, onirico, aumentato dall’effetto stupefacente dell’Lsd:



No one I think is in my tree

I mean, it must be high or low

That is, you can’t, you know, tune in but it’s all right

That is, I think it’s not too bad

Let me take you down

‘Cause I’m going to strawberry fields

Nothing is real

And nothing to get hung about

Strawberry fields forever”

“Niente è reale” è il verso chiave di un brano destinato a diventare manifesto della cultura hippie allucinogena.

Penny Lane è una strada anch’essa a Liverpool, dove c’era il capolinea degli autobus, il barbiere (descritto all’inizio della canzone) dove “Macca” andava col padre ed era il luogo dove Lennon andava con gli amici, prima, e poi con le ragazze. Meno legata alle atmosfere allucinate di quella di Lennon, anche se ci sono dei paradossi (il cielo descritto come azzurro mentre sta piovendo), gode di una melodia superlativa che getta l’ascoltatore nel mondo sognante dell’adolescenza: “Penny Lane is in my ears and in my eyes there beneath the blue suburban skies…”. L’assolo di tromba è ispirato da un’esecuzione del secondo concerto brandenburghese di Bach , che la dice lunga di come i Beatles di quel periodo storico avessero ormai sconfinato in qualunque aspetto musicale, anche quello classico. I due brani verrano poi inclusi nell’edizione americana dell’album Magical Mystery Tour  nel novembre del 1967, ma resteranno per sempre in un luogo fuori del tempo e oltre il tempo…



2. Hey Jude/Revolution (26 agosto 1968)

Mentre i Beatles sono in studio per quello che sarà il loro primo e unico album doppio, pubblicato a fine novembre 1968, passato alla storia come il White Album per via della copertina senza alcuna immagine e che segna l’inizio della fine del gruppo stesso, in quanto ogni canzone è scritta dai soli McCartney e Lennon senza più la collaborazione di un tempo, il 26 agosto viene deciso di lanciare un 45 giri che pubblicizzi la nascita della Apple Records, l’etichetta indipendente del gruppo. Mai scelta di marketing si rivelerà più azzeccata: nel giro di un mese il singolo venderà oltre sei milioni di copie. Merito del brano di McCartney, Hey Jude. Lennon lotterà a lungo per avere sul primo lato la sua Revolution, brano che descrive perfettamente la realtà storica in corso, la “rivoluzione giovanile” che infiamma in tutto il mondo occidentale, dai campus americani alle università di Parigi, ma è indubbio che Hey Jude aveva un potenziale commerciale più vistoso. Nonostante la durata, oltre sette minuti, inconcepibile per i passaggi radiofonici, il successo fu immenso. La ballata pianistica di McCartney si evolse dall’iniziale Hey Jules, una canzoncina che McCartney aveva improvvisato per confortare il figlio di John Lennon, Julian, durante il divorzio dei suoi genitori. Lennon però, fino alla fine dei suoi giorni, dichiarò di averla intesa come dedicata a lui: il verso “You have found her, now go and get her” era il modo con cui Paul gli faceva capire di avere accettato l’arrivo di Yoko Ono, nonostante fosse una presenza ingombrante.

Hey Jude inizia con una struttura a ponte in versi che incorpora la performance vocale e l’accompagnamento al pianoforte di McCartney; ulteriore strumentazione viene aggiunta man mano che la canzone procede, fino a una autentica orchestra di 36 elementi. Dopo 2 minuti e 59 secondi, fra i versi: “Remember, to let her under your skin / Oh, then you’ll begin”, si sente in sottofondo, appena udibile coperta dalla strumentazione, una imprecazione di Paul, “Fucking hell!”, lasciata nell’edizione finita per volere di John Lennon. A renderla memorabile fu il coro finale, lungo quattro minuti circa, “Naaa-naaa-naaa-na-na-na-naaaaa-na-na-na-naaaaa Hey Jude”.

Di tutto altro tono è Revolution di Lennon, il Beatle da sempre più attento ai cambiamenti e alle implicazioni politiche. Ne esiste una versione più lenta e semi acustica inclusa nel White Album, ma quella che rimarrà nella storia è quella straboccante, rock, del singolo, definita da alcuni prototipo dell’hard rock incipiente. Il brano si apre con un urlo di McCartney che dà il tono aggressivo di cui gode il pezzo. Un riff incalzante di Harrison codifica il brano con una irruenza fino ad allora sconosciuta ai Beatles, mentre Lennon macina versi di cui poi si pentirà, quando si schiererà politicamente con la sinistra più radicale. Nel brano infatti il cantante prende le distanze dalle tendenze estremiste che già si stavano infilando nelle manifestazioni pacifiste:

You say you want a revolution

Well, you know

We all want to change the world

You tell me that it’s evolution

Well, you know

We all want to change the world

But when you talk about destruction

Don’t you know that you can count me out

Nel bridge, Lennon si tira del tutto fuori da ogni implicazione ideologica, quella comunista in primis:

But if you go carrying pictures of Chairman Mao

You ain’t going to make it with anyone anyhow”.

Il pezzo gode di un violento e bruciante assolo della chitarra di Harrison suonata con un distorsero per loro inedito.

Le critiche ricevute dalle personalità più coinvolte politicamente fanno effetto e nella versione pubblicata sul White Album, Lennon lascia spazio alla sua classica ambiguità, aggiungendo dopo ogni “out” un “in”. Genio purissimo. Inutile dire che se questi due pezzi fossero stati inclusi al posto di altri trascurabili (ad esempio Birthday di McCartney e Everybody’s Got Something to Hide Except Me and My Monkey di Lennon, ma anche The Continuing Story of Bungalow Bill) oggi il White album non potrebbe essere oggetto di alcuna critica.

3. She loves you/I’ll get you (23 agosto 1963)

Tanti ancora oggi ridicolizzano i Beatles, quelli di inizio carriera, definendoli niente altro che una “boy band” per ragazzine eccitate. Inascoltabile, per i soloni della pseudo cultura rock più snobistica, lo “yeah yeah yeah” che li identificava (qualcuno ai tempi definì la loro “generazione yeah yeah yeah”). Be’, con buona pace loro, l’attacco di She loves you è una scarica adrenalinica come un bombardamento che tira giù ogni muro e spalanca il nuovo che avanza. Sono arrivati gli anni 60, bambini ed è il terremoto. Non solo: era una canzone rivoluzionaria. Lo “yeah yeah yeah” era visto come un americanismo animalesco, tanto che la Bbc descrisse il brano come “il segno del crollo della società civile”. George Martin chiese loro di sostituirlo con un più britannico “yes yes yes”, ma i quattro rifiutarono: erano troppo avanti.

Il pezzo ancora oggi, forse ancora di più, è di una potenza devastante: le voci, all’unisono, sprizzano gioia e divertimento allo stato puro; le chitarre si innalzano in un riff geniale; la sezione ritmica macina ogni resistenza. Da ascoltare a volume il più alto possibile, She loves you dimostra la carica garage di questi quattro ragazzi, una forza spumeggiante incontenibile.

I giovani inglesi attendevano questo 45 giri con una anticipazione ai massimi livelli: il giorno prima che fosse messo in vendita, ne erano già state ordinate 500mila copie.

Il disco ha stabilito e superato diversi record di vendita nelle classifiche del Regno Unito e ha stabilito un record negli Stati Uniti come una delle cinque canzoni dei Beatles che hanno tenuto contemporaneamente le prime cinque posizioni delle classifiche, il 4 aprile 1964. E’ il singolo più venduto nel Regno Unito e quello più venduto degli anni ’60 da qualsiasi artista. A oggi è il nono singolo più venduto di tutti i tempi nel Regno Unito, con un milione e 920mila copie.

4. All you need is love/ Baby, you’re a rich man (7 luglio 1967)

E’ il 25 giugno 1967 quando va in onda la prima trasmissione televisiva satellitare internazionale in diretta, un evento, almeno sulla carta. Alla fine, visto l’ovvio no dei paesi del blocco sovietico, parteciperanno solo 19 nazioni, tra cui l’Italia. Per ogni paese, un ospite speciale, tra cui Maria Callas e Pablo Picasso. Il Regno Unito sceglie ovviamente i Beatles. Vi assisterà quello che fino ad allora sarà il più grande pubblico televisivo di sempre, stimato tra i 400 e i 700 milioni. Oggi nessuno se lo ricorda più, se non per la partecipazione dei Beatles. Il periodo storico corrisponde al punto più alto della cosiddetta estate dell’amore, ma anche al culmine della guerra in Vietnam e ai Fab4 viene esplicitamente chiesto di scrivere una canzone con un messaggio positivo. Presto fatto. John Lennon si getta in pieno nelle vibrazioni hippie del momento e scrive un brano che ha un tema solo, quello di quel momento, l’amore, catturando perfettamente gli ideali utopici della loro generazione. Il brano è semplice, ma accattivante. Aperto dalla Marsigliese, l’inno francese, esprime dolcezza, bellezza e la certezza che grazie all’amore ogni cosa è possibile:

There’s nothin’ you can do that can’t be done

Nothin’ you can sing that can’t be sung

Nothin’ you can say, but you can learn how to play the game

It’s easy

Nothin’ you can make that can’t be made

No one you can save that can’t be saved

Nothin’ you can do, but you can learn how to be you in time

It’s easy

All you need is love

L’ambientazione è perfetta: i quattro Beatles si presentano con degli improbabili fiori tra i capelli come vuole la moda del momento, vestiti variopinti in stile psichedelico, palloncini, stelle filanti e cartelloni con la scritta “amore” in diverse lingue e un pubblico di amici altrettanto hippie ai loro piedi, tra cui Mick Jagger, Eric Clapton, Keith Richards, Marianne Faithfull, Keith Moon e Graham Nash. Nel finale corale, George Martin mette dentro un po’ di tutto, dal brano In the mood di Glenn Miller a Bach fino a una citazione di She loves you degli stessi Beatles.

Sul lato B un altro pezzo allora inedito, Baby you’re a rich man, composto da Lennon con l’aiuto di McCartney, sempre in vena psichedelica. Entrambi i pezzi saranno inclusi Magical Mystery tour.

5. The Ballad of John and Yoko/Old brown shoe (30 maggio 1969)

“Vai un po’ più veloce Ringo”. “Ok, George”. A dire la prima frase è in realtà John Lennon, a rispondergli Paul McCartney, come si sente in un demo. L’ultimo 45 giri a raggiungere il primo posto della classifica inglese (e il primo in Europa a essere registrato e pubblicato in stereofonia) è infatti interamente registrato dai soli Lennon (voce, chitarra e chitarra solista, percussioni) e McCartney (basso, batteria, piano, maracas e coro), senza Harrison e Starr. E’ anche l’unico. Benché l’avventura dei Beatles sia ormai finita anche se non ufficialmente, i due vecchi amici ritrovano per l’ultima volta lo spirito e l’entusiasmo della loro giovinezza in questa The Ballad of John and Yoko, scritta in pochissimo tempo da Lennon al ritorno dal suo viaggio di nozze con Yoko Ono e registrata in una sola serata. Lennon non stava nella pelle dalla voglia di inciderla e pubblicarla e l’amico Paul lo accontenta, benché sia dubbioso a proposito dei versi in cui viene citato Cristo e la crocifissione, per timore si ripeta quanto avvenuto quando lo stesso Lennon dichiarò che i Beatles erano più famosi di Gesù:

Christ, you know it ain’t easy

You know how hard it can be

The way things are goin’

They’re going to crucify me

Il 45 giri infatti verrà censurato da diverse stazioni radiofoniche americane. Nonostante i due fossero ai ferri corti per le ragioni legali che avrebbero portato allo scioglimento del gruppo, per un ultima volta si rinnova il miracolo del loro talento unico, del senso dello humor e del loro talento che traspare dall’inizio alla fine del pezzo. Una veloce, sprizzante ballata country-rock, contiene la rabbia di Lennon per le critiche che la moglie stava ricevendo dalla stampa, ma anche un inquietante verso profetico: “ La moglie disse: oh ragazzo, quando sarai morto non porterai niente con te se non la tua anima”.

Altri 45 giri dei Beatles contenenti brani non inclusi negli album originali:

From Me to You/Thank You Girl  (11 aprile 1963)

I want to hold your hand/This boy (29 novembre 1963)

I feel fine/She’s a woman (23 novembre 1964)

Ticket to Ride/Yes It Is (9 aprile 1965; solo il lato B inedito su album)

Help!/I’m Down (23 luglio 1965; solo il lato B inedito su album)

We can work it out/Day tripper (3 dicembre 1965)

Paperback writer/Rain (30 maggio 1966)

Lady Madonna/The Inner Light (15 marzo 1968)

Get Back/Don’t Let Me Down (11 aprile 1969; solo il lato B inedito su album)

Let It Be/You Know My Name (Look Up the Number) (6 marzo 1970; solo il lato B inedito su album)