Se si vuole partecipare al gioco del “a chi giova?” la monumentale opera televisiva di Netflix sulla famiglia più importante del Regno Unito, stavolta non ci sono molti dubbi: The Crown vira apertamente a favore di re Carlo III. La quinta stagione affronta, infatti, gli anni più difficili che la regina Elisabetta II ha dovuto affrontare nel suo lunghissimo regno. Parliamo dei primi anni ’90, caotici e pieni di sconvolgimenti politici e sociali. E Carlo è un principe irrequieto.
A sostegno della nostra tesi vi è in primo luogo la scelta compiuta nell’individuare in Dominic West l’attore in grado di interpretare Il principe del Galles in età ormai matura. Decisamente più bello del personaggio reale, West ha aggiunto un ricco tocco di fascino e sensibilità, che è sembrato appunto eccessivo. L’attore protagonista del successo di The Affairs sembra determinato a mettere tutto quello che può a sostegno delle ragioni di Carlo, contribuendo in modo assai efficace a spingerci dalla sua parte, e aprendo più di una crepa nelle vaste simpatie di cui ha goduto la principessa Diana fino a oggi.
Così come West dà sostanza a un Carlo inedito, l’attrice australiana Elizabeth Debicki (Il grande Gatsby, Everest, Tenet), che veste i panni di Diana in questa stagione, sembra accentuare le debolezza della “principessa del popolo”, ma soprattutto sembra disporre di meno fascino e capacità di attrazione. Senza contare che la ricostruzione del modo con cui i giornalisti della BBC – assai subdolo – ottengono la famosa intervista a Diana contro Carlo e Camilla contribuisce ad alimentare i dubbi sui reali obiettivi di Diana e sulle sue responsabilità nel far precipitare la situazione verso il divorzio.
Stavolta sono i protagonisti maschi a farla da padrone. Un bel ruolo è ritagliato ad esempio per il primo Ministro inglese John Major (1990-1997), interpretato molto bene dall’attore Jonny Lee Miller (Trainspotting, Eli Stone, Elementary). Straordinaria la scena quando la regina gli affida il compito di mediare tra Carlo e Diana. Bello il cammeo sul ritorno sentimentale del colonnello Peter Townsend da Margaret, interpretato dall’ex agente 007 Timothy Dalton. Ma anche re Filippo – che molti considerano essere stato il peggior consigliere della regina – nei cui panni troviamo Jonathan Pryce (Evita, Il Trono di Spade, I due papi) rivela argume e senso della realtà per le difficoltà oggettive da affrontare.
Tra le interpreti femminili merita una segnalazione l’attrice Lesley Ann Manville (Il filo nascosto) per la sua interpretazione di una matura, e piena di rimpianti, principessa Margaret. Quella più deludente è proprio la performance di Imelda Staunton (Harry Potter, Donwnton Abbey) nel ruolo di Elisabetta II, alle prese con il suo ” horribilis annus” e con il disfacimento della sua famiglia colpita dal susseguirsi di divorzi e scandali.
In effetti la quinta stagione di The Crown non ha la forza delle precedenti. Troppo vicino il ricordo del faraonico funerale – molto di più un evento televisione – che la Gran Bretagna e tutti i capi di stato del mondo hanno tributato alla più longeva regina finora vissuta, troppo abusato il racconto della fine del matrimonio dei principi del Galles (la stagione si conclude alla vigilia delle vacanze in Costa Azzurra dove Diana conosce Dodi Al-Fayed), troppo cupa la ricostruzione degli anni ’90.
Non si può negare che la serie ammiraglia di Netflix segni il passo e contribuisca a indebolire la forza del palinsesto, che non è più così imbattibile come fino a poco tempo fa. Netflix è sempre di più insidiata dalle tante nuove piattaforme oggi in competizione tra di loro. Invece di pensare alla pubblicità, Netflix dovrebbe ragionare di più su come – inevitabilmente – i gusti cambiano. E se pochi anni fa la piattaforma era la novità assoluta, oggi appare, anche nelle battute sui social, sinonimo di una vita negativa, trascorsa spianati su un divano, sopraffatti dal binge watching.
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