Il Torino Film Festival ha una passione notoria per l’horror e il cinema di genere in generale, soprattutto fino all’anno scorso con Emanuela Martini alla direzione, quando oltre a una sezione dedicata i film di tensione, paura o azione puri erano sparsi nelle pieghe del programma con tanto di Notte Horror. Quest’anno, al primo anno da direttore, Stefano Francia di Celle ha rivisto il programma e le sue sezioni – dovendo fare i conti con la pandemia e una programmazione online – ma ha dato a Pier Maria Bocchi (critico e storico selezionatore del Festival) il compito di curare Le stanze di Rol, sezione dedicata ai generi e al loro portato esplosivo dedicata a Gustavo Rol, sensitivo torinese che molto ha influenzato il cinema italiano.



Il film che inaugura la sezione è The Dark and the Wicked, quarto film da regista di Bryan Bertino, tra i registi indipendenti di horror più apprezzati. Racconto basato su alcuni topoi del genere: fratello e sorella tornano nella casa di campagna per assistere il padre in fin di vita e aiutare la madre, ma una presenza maligna li assedierà dentro quella casa e quel mondo diroccato.



Bertino (autore del riuscito dittico The Strangers) percorre le strade dell’horror rurale ponendosi da subito in netto contrasto con le pratiche industriali del genere, ritmi lenti, movimenti di macchina striscianti e quasi impercettibili, la costruzione di un’atmosfera opprimente e uno stile di regia geometrico al posto dei sobbalzi e delle urla del genere in senso mainstream. Un approccio che però non è arty, non cerca di travalicare il genere come fanno Ari Aster (Midsommar, Hereditary) o Robert Eggers (The VVitch, The Lighthouse), ma ci lavora all’interno per parlare di una certa America.



Nella descrizione di una famiglia che il male – in senso fisico e metafisico – sta distruggendo, facendo marcire, Bertino racconta l’America profonda e il suo disagio, la battaglia quotidiana (e per questo davvero epica) per tirarsi fuori da paludi socio-culturale e ideologiche che vogliono relegare quell’America al passato: non a caso, il film è ambientato in Texas, culla della cultura reazionaria e retrograda a stelle e strisce, la cultura che ha generato la famiglia cannibale di Non aprite quella porta e da cui i due fratelli protagonisti vorrebbero provare a emanciparsi, osservando la disperazione dei genitori nel non riuscire mai a fuggire da loro stessi.

Non è un horror politico in questo senso, come quelli quasi didascalici di Jordan Peele (Get Out, Noi), ma lavora interiorizzando il tema, rendendolo l’humus da cui partire, utilizzando in modo intelligente la metafora, guardando alla storia del cinema – il prete che ricorda La morte corre sul fiume -, ma soprattutto usando gli elementi della messinscena, come la musica di Tom Schraeder e la bellissima fotografia di Tristan Nyby per creare un’atmosfera ripetitiva, ossessiva e opprimente, spietata perché irrazionale e incomprensibile, in cui il male non ha corpo, non ha presenza, ma dà corpo all’orrore che ci portiamo dentro.

The Dark and the Wicked è una variazione su molti temi classici del genere, che proprio dal riconoscimento di meccanismi consolidati trae il suo piacere e la sua forza, ma è anche una prova sicura di talento per un regista che sa far parlare l’orrore e le sue dinamiche, che non le piega a una volontà didattica, ma chiede allo spettatore di capirne il senso. E infatti non dà risposte, pone solo domande inquiete. E tristi.