Seconda puntata della rubrica dedicata alla Musica Contemporanea a cura del M° Luca Belloni.
Il compositore Pippo Molino racconta il suo percorso artistico, offrendo numerosi spunti di riflessione e la possibilità di ascoltare uno dei suoi brani più recenti.
Buona lettura e buon ascolto!
Come ha preso in considerazione l’ipotesi di fare lo strano “mestiere” del compositore?
La musica è sempre stata presente nella mia vita, fin da bambino. Soprattutto da quando alcune persone importanti per me mi hanno invitato in un coro.
Un giorno ascoltai l’esecuzione alla televisione del Quarto Quartetto di Bartók: fu una folgorazione, da quel giorno la mia ipotesi divenne fare il compositore.
La musica che si compone oggi (la famigerata musica “contemporanea”) è oggetto di un atteggiamento duplice: da un lato gli “addetti ai lavori” appaiono sempre più rinchiusi in una torre d’avorio, dall’altro c’è un pubblico che, senza conoscere quasi nulla del repertorio composto dopo il 1900, sembra rifiutare in blocco qualsiasi proposta. Come vede la situazione?
La vedo male e bene allo stesso tempo (il quadro che dà lei è esatto); male perché la stragrande maggioranza di coloro che compongono questa “musica contemporanea” grazie a uno strano processo di reazione a catena fa musica sempre più inutile ed è sempre più inutilie a se stessi e agli altri. Non innanzitutto per incapacità propria o per volontà esplicita, ma grazie a una complicazione culturale che ha provocato la necessità di comporre dissonante – difficile, incomprensibile – sostanzialmente vuoto: la reazione a catena funziona all’incirca così.
La vedo bene invece perché oggi è abbastanza diffusa l’insofferenza verso questo stato di cose.
La soluzione però, viene solo da un fatto nuovo, da un avvenimento, che sempre un pezzo di musica che vale, piccolo o grande, è.
La situazione culturale (e in particolare quella musicale) mi sembra oggi segnata da una grande superficialità. Uno dei problemi più urgenti, a mio avviso, è oggi quello del reimparare ad ascoltare (e non parlo solo di una necessità del pubblico ma anche e soprattutto dei musicisti) con attenzione vigile e cuore disponibile.
Lei cosa propone per porre rimedio a questo disimpegno nei confronti dell’arte che, a mio avviso, nasconde un ben più grave disimpegno nei confronti delle esigenze fondamentali dell’uomo (in primis in rapporto all’insopprimibile sete di felicità che costituisce il nocciolo originario della personalità umana)?
Non desistere in questa sete di felicità, anche e soprattutto quando essa ci suggerisce qualche cambiamento che ci costa; per distinguere tra la strada di una falsa ascesi, i cui termini decido io, e un sano cambiamento, non c’è che stare attaccati a persone che vivono già una vera novità.
Accettare anche le provocazioni riguardo alla musica che da queste persone, normali cioè umane a tutti gli affetti, ci arrivano. Dico che queste persone – che non sono io, ma cui io aderisco perché mi ci riconosco – le potrei chiamare popolo. Popolo sono persone che hanno qualcosa di chiaro in testa circa il proprio destino e si mettono insieme per realizzarlo. Dialoghiamo con questo popolo e ci verrà ancora più voglia di buttarci nel sano – divertente e bello – lavoro dell’artigianato musicale.
Credo di aver detto con parole un poco diverse ciò che diceva Stravinskij nella “Poetica della Musica” quando si scagliava contro gli snob (così li chiamava) e ad essi preferiva il pubblico semplice dei melomani.
Ci sono alcune parole che oggi sono autentici tabù nell’ambiente musicale. Una di queste (la più vituperata) è la parola “ispirazione”. Cosa ne pensa?
L’ispirazione è fondamentale. Togli l’ispirazione, cioè lo spunto concreto da cui parte un’opera (in una musica l’incipit, o l’idea che piano piano viene fuori dopo l’inizio) e in pratica togli tutto il gratuito, cioè l’avvenimento, come dicevo prima.
Il timore di parlare di ispirazione è spiegato dal fatto che questa mentalità non sopporta ciò che non è controllabile attraverso uno schema mentale semplicistico e puerile.
Dopo le utopie degli anni Cinquanta e Sessanta del XX secolo, che pensavano di poter fare tabula rasa del passato oggi si ricomincia da più parti a tentare di riannodare i fili con una tradizione troppo rapidamente liquidata come inutile.
Ci può indicare degli autori che per lei costituiscono o hanno costituito un punto di riferimento?
L’idea di potersi permettere di non seguire un tradizione è un’utopia. Per chiunque comunque è strutturalmente necessario seguire qualcosa al di fuori da sé.
Secondo gli schemi culturali di cui parliamo ciò che si segue è un atteggiamento culturale, uno schema astratto; per esempio la moda dell’incomunicabilità, del difficile, oppure un certo modo di concepire la composizione e di costruirla secondo certi schemi.
Seguire una tradizione in modo vitale è invece seguire qualche esempio di arte riuscita, di musica che in modo personale trova la maniera di comunicare oggi, non evitando, ma reinterpretando ciò che della tradizione trova in sé.
Alcuni compositori che sento particolarmente amici: Bartók, Stravinskij, Rachmaninov, Dvorák. Tra i viventi o scomparsi da poco: Pärt, Górecki, Lutoslawski, Bernstein. Tra i tedeschi e austriaci amo di più i classici (Settecento e Ottocento). E poi l’opera, soprattutto italiana, all’interno della quale apprezzo maggiormente Verdi e Rossini.
Lei è docente di Armonia e Contrappunto al Conservatorio di Milano. Come vede il suo ruolo di educatore?
Insegnare mi è sempre piaciuto moltissimo. Vivo il gusto del comunicare un mestiere, contemporaneo al lavoro di raffinarlo io continuamente; il gusto del sintetizzare in poche regole i comportamenti di una certa grammatica e sintassi musicale: è il lavoro che ha avuto esito per esempio nel mio “Manuale di armonia tonale”. E poi il gusto di dare le ragioni di quello che si fa in arte, non tanto le ragioni estetiche, cioè del bello, perché se il bello in qualche modo non si vede vuol dire che non c’è, ma i meccanismi che dall’intuizione (l’ispirazione!) in poi costruiscono il risultato – e anche questo è un’unione inscindibile di dono (ispirazione) e lavoro, spesso faticoso.
Lei è un ompositore attivo da molti anni. Come vede, retrospettivamente, il percorso della sua produzione?
Vedo certamente un’evoluzione nel linguaggio; ma – e questo mi sembra una bella dimostrazione che l’aspetto linguistico non è tutto – questo non è ciò che più importa.
Riascoltandoli dopo un po’ di tempo, ci sono pezzi più o meno riusciti, e ugualmente distribuiti, tra quelli più dissonanti che componevo prima o tra quelli più recenti.
Forse una particolarità che si acquista di più negli anni è quella di una disinvoltura rispetto alle scelte linguistiche, che adesso mi sembrano meno obbligatorie e una maggior cura invece per il risultato timbrico e sonoro, unita a una maggior immedesimazione con il potenziale ascoltatore.
Per me questo aspetto non è assolutamente un compromesso, come dicono in parecchi; al contrario credo che saper far piacere la propria musica sia frutto di capacità.
Per concludere ci può dare qualche indicazione per avvicinarci all’opera da lei scelta come proposta d’ascolto ai nostri lettori? Perché ritiene quest’opera particolarmente significativa e, in qualche modo, sintetica del suo approccio alla composizione?
Sceglierei “Angelus”, una mia composizione per soprano, mezzosoprano e orchestra d’archi. Penso che in essa si possa cogliere quello in cui credo e questo attraverso una forma, nel senso di un risultato musicale, concreto. Per esempio la positività e la gioia dell’annuncio contenuto nelle parole si rispecchia in quel contrappunto, fin dall’inizio, tra le diverse parti degli archi.
E poi nell’Ave Maria si incontra la mia attitudine alla melodia, che nasce da un’esperienza di canto che da tanti anni imparo e, quindi, insegno.
L’Angelo del Signore portò l’annuncio a Maria
e la Vergine concepì per opera dello Spirito Santo.
Ecco la serva del Signore:
mi accada secondo la tua parola.
E il Verbo si è fatto carne
e abita in mezzo a noi.
Ave Maria, piena di grazia, il Signore è con te.
Tu sei benedetta tra le donne e benedetto il frutto del tuo seno, Gesù.
Santa Maria, madre di Dio, prega per noi peccatori adesso e nell’ora della nostra morte.
Amen.
Prega per noi, Santa Madre di Dio,
perché diventiamo degni delle promesse di Cristo.
Infondi, Signore, la tua grazia nei nostri cuori,
affinché noi, che abbiamo conosciuto per l’annuncio dell’Angelo l’incarnazione del Figlio tuo Gesù Cristo, attraverso la sua Passione e morte siamo condotti alla gloria della sua Resurrezione.
Per Cristo nostro Signore.
Amen.
Gloria al Padre, al Figlio e allo Spirito Santo, com’era in principio, ora e sempre, nei secoli dei secoli.
Amen.
Angelus, per soprano, mezzosoprano e orchestra d’archi di Pippo Molino (Edizioni Curci)
Solisti
Clara Renzi, soprano
Svetlana Sidorova, mezzosoprano
Orchestra Internazionale d’Italia
Antonio Cipriani, direttore