Figlio di una società costantemente in movimento il compositore americano Morton Feldman (New York, 12 gennaio 1926 – Buffalo, 3 settembre 1987) ha saputo sottrarsi, fin dagli esordi, al clima caotico in cui era forzatamente immerso, regalandoci pagine di purissima, rarefatta e misteriosa bellezza.
Amico di numerosi artisti figurativi della New York degli anni Cinquanta (i celebri action painters) Feldman trae spesso ispirazioni da opere pittoriche per stilare le sue minuziose processioni musicali. È il caso della pagina di cui parleremo, che fin dal titolo (che riporta semplicemente il cognome di Willem De Kooning, pittore statunitense di origine olandese vissuto tra il 1904 ed il 1997) chiarisce i legami con l’arte astratta nordamericana.
La pittura di De Kooning è uno strano connubio di furore iconoclasta e tenace (anche se talvolta sottilissimo) legame con una certa forma di figuratività che non viene meno nemmeno nelle opere più radicali.
Il punto di partenza di Feldman non è tanto un’idea astratta della tecnica di De Kooning o la semplice suggestione dei suoi dipinti ma l’incontro vivo con l’agire artistico del pittore.
Il compositore racconta della stranissima, estrema lentezza con cui l’artista statunitense lavorava ai suoi quadri che, per converso, sono “velocissimi”, pieni di furiosa agitazione.
Il clima del brano (originariamente composto, nel 1963, come colonna sonora del documentario De Kooning, The painter) rispecchia dunque in prima istanza il concreto, fisico rapporto del pittore con la tela, i suoi lentissimi, centellinati movimenti.
A uno sguardo (a un ascolto) più attento però possiamo scoprire che, come nelle fantasmagoriche pitture del dedicatario, una più affascinante profondità si nasconde dietro la minuta rete di suoni intessuta dal compositore. Fin dall’esordio, con i pochi sparuti suoni affidati al timbro puro di ogni strumento, ci troviamo proiettati in un universo insolito eppure stranamente familiare.
Il lento trascolorare dei vari timbri strumentali sembra invitarci (con gentile perentorietà) a guardare lo schiudersi di ogni istante come sorgente di un imprevedibile (eppure misteriosamente ordinato) accadere. Tutto lo scorrere del pezzo è segnato da sottili assonanze, da lievissime increspature di suono, da pause che interrompono il ritmo regolare che costituisce l’ossatura portante della composizione. In un’atmosfera di tale rarefatta intensità ogni evento, anche minimo, assume una portata decisiva. Veniamo così a trovarci in uno stato di perenne, stupefatta tensione in cui, poco a poco, la struttura si palesa e con essa il valore di cui essa è veicolo inseparabile.
Nell’assoluta, spoglia semplicità della musica di Feldman possiamo ritrovare quindi quello stupore per la fisica realtà (del suono, ma non solo) che è la porta principale verso l’ “apparir del vero” che solo nella inimmaginabile densità dell’istante si svela.
Lentamente e con inesorabile determinazione il compositore ci induce a rivedere tutte le nostre categorie e a fermarci dinnanzi all’attimo che fugge, dinnanzi alla misteriosa dinamica della vita in cui solo l’ora esiste ed è frutto non di un nostro volere ma di un Mistero che investe di sé tutta la realtà. Allora anche l’apparente discontinuità degli algidi tocchi strumentali si ricompone in un mosaico che ci fa comprendere come ogni frammento sia parte di un edificio realmente “sinfonico” (così definiva la realtà il grande teologo Von Balthasar) in cui tutto acquista un misterioso e concreto significato fino a inverarsi nella definitività dell’eterno che l’accordo finale (pacificato in una consonanza) richiama con commovente purezza.
Ensemble L’arsenale
Corno: Piotr Janik
Pianoforte: Roberto Durante
Percussioni: Alessio Rossato
Violino: Claudio Rado
Violoncello: Massimo Raccanelli
Direttore Filippo Perocco