Ci sono musiche che hanno il potere di associarsi indelebilmente a una situazione, a un luogo, a un avvenimento.
Per me la “Piccola musica notturna” (1954) di Luigi Dallapiccola (autore di cui abbiamo già parlato in un precedente articolo) è legata definitivamente all’estate e all’immagine notturna della piazza del mio piccolo paese.
Al di là del dato contingente (oggettivamente per nulla interessante per il lettore) la pagina dallapiccoliana possiede un’indiscutibile potenza espressiva che la rende capace di farci guardare con occhi rinnovati le cose consuete.
Il brano è ispirato alla poesia “Notte d’estate” di Antonio Machado di cui riportiamo la traduzione italiana:
È una bella notte d’estate.
Hanno le case alte
le finestre aperte
sull’ampia piazza del vecchio paese.
Nel largo rettangolo deserto
panche di pietra, siepi e acacie
simmetriche disegnano
le loro nere ombre sull’arena bianca.
Nello zenit, la luna, e sulla torre
La sfera, l’orologio, illuminata.
Io passeggio in questo vecchio paese
solo, come un fantasma.
La composizione si apre su un’arcana melopea delle viole [0’04”] che sembra contenere tutto il mistero di una dolce notte estiva. Improvviso [0’40”] un fremito attraversa la materia sonora, facendoci intravedere altri spazi, altri significati celati nel seno dell’oscurità.
Una delicata melodia del clarinetto [1’00”], accompagnata dai tremoli degli archi, sembra riportare la pace, ma lancinanti accordi [1’40”] feriscono nuovamente il tessuto musicale.
In questo gioco dicotomico è evidentemente leggibile un dissidio che permea l’opera e di cui la poesia di Machado può fornire una prima chiave interpretativa.
BBC Philharmonic Orchestra
Gianandrea Noseda, direttore
Come il poeta vaga nell’incantata cornice notturna sentendola in definitiva estranea (“passeggio […] solo, come un fantasma”) così il musicista esplicita il conflitto tra uomo e mondo, tra realtà soggettiva e tetragona oggettività del creato attraverso lo spiccato dualismo degli atteggiamenti musicali.
La domanda di fondo sembra riecheggiare il leopardiano “Canto notturno” con la sua selva di interrogativi lanciati contro un cielo che, impassibile, non risponde.
Così, in questo gioco di alternanze sempre cangianti, anche la fugace comparsa di una “voce della natura” [2’28”] (il richiamo di un uccello notturno?) provoca il repentino innesco del meccanismo dialettico [2’38”]. Tutto sembra essere motivo di dramma, di tormento.
La natura prismatica della strumentazione utilizzata dal compositore (le figure musicali spesso sono “polverizzate” tra i diversi strumenti secondo i dettami della “melodia di timbri di weberniana memoria) enfatizza da un lato l’aspetto magico, incantatorio della natura e dall’altro esaspera i conflitti che, puntualmente, riemergono.
È davvero possibile all’uomo, sembra dirci l’autore, comprendere il senso di tutto quello che lo circonda? Dalla luna alla sabbia, dall’acacia al campanile?
È come se Dallapiccola, nelle repentine slogature del discorso come nelle sue cristalline volute, ripercorresse la traiettoria della paradossale, ma logica affermazione del “matto” felliniano: «Se non serve questo sasso, non servono neanche le stelle».
BBC Philharmonic Orchestra
Gianandrea Noseda, direttore
Il preludio, l’intuizione, il barlume di una possibile risposta si fa strada lentamente all’interno di un canovaccio musicale di rarissima e preziosa bellezza.
Ed è proprio questa incantevole bellezza che, nel rarefatto, sublime finale suggerisce la via d’uscita, la conciliazione inimmaginata eppure a portata di mano.
Dopo l’ultima impennata in sforzatissimo [7’15”] la musica progressivamente si placa e, nel suo procedere indisturbato, l’autore sembra intuire la possibile soluzione (il finale rimane comunque aperto e in qualche maniera interrogativo) non nel tentativo di forzare intellettualmente la natura, ma nella compenetrazione con il suo mistero (che pure rimane): tutto, al fondo, porta scritto “più in là”, tutto è segno di un oltre tanto desiderabile da lasciare il cuore agostinianamente inquieto fino a che non lo si raggiunga.
Proprio in quell’abbandono, che è molto più abbraccio che rassegnazione (è un finale attivo soprattutto ritmicamente) [8’18”], Dallapiccola intuisce (come farà molti anni più tardi l’eroe del suo Ulisse) seppur nebulosamente che dietro ogni cosa (e dentro ogni cosa) c’è il seme di un’Intelligenza più grande che dispone con enigmatica ma evidente cura anche il minimo particolare della realtà.
In fondo è come se, arrendendosi all’evidenza del dato, l’autore iniziasse a scoprire quel mistero di misericordia che tutti i giorni ci raggiunge nelle maniere più disparate.
Come diceva Sant’Ambrogio a proposito del figliol prodigo: “tu convicium times, adornat ille convivium”. Tu temi un rimprovero e lui ti prepara una cena.
Talvolta anche la semplice e dolorosa bellezza di un brano di musica può testimoniare l’alba di una verità che ci parla di un amore senza confini.
BBC Philharmonic Orchestra
Gianandrea Noseda, direttore