Se avete nostalgia di Downton Abbey, se vi mancano le partite del sabato pomeriggio della Premier League, e se cercate qualcosa che ha a che fare con la lotta di classe ai tempi della Prima rivoluzione industriale, dovete guardare The English Game. La miniserie britannica in sei episodi, che da sabato scorso trovate su Netflix, risponde allora esattamente al vostro target.
La storia è una ricostruzione autentica – sin dagli albori – della FA Cup, la Football Association Challenge Cup, la più antica competizione calcistica, nata nel 1871. Tutti gli amanti del calcio internazionale sanno perfettamente di cosa stiamo parlando: la competizione – scontri diretti in un’unica partita – corrisponde oggi alla nostra Coppa Italia, ma ha ben altra storia, e in Inghilterra non è considerata affatto un torneo di valore inferiore al campionato.
In realtà la storia della FA Cup è ancora più antica perché il primo torneo risale addirittura al 1859. Ovviamente all’inizio era solo uno dei tanti svaghi della nobile gioventù del Regno britannico. Solo qualche anno dopo le iscrizioni al torneo furono aperte anche alle altre squadre dilettantistiche provenienti da fuori Londra, dalle contee dello Yorkshire, del Leicestershire, del Lancashire. Guardando l’albo d’oro dei vincitori, colpisce come dopo i primi anni in cui fu assegnata esclusivamente ai club blasonati dei college dei rampolli della nobiltà, la coppa fu conquistata dalle squadre delle zone industriali del nord.
The English Game racconta proprio la trasformazione del calcio da sport di élite a grande fenomeno di massa e popolare, avvenuta grazie all’arrivo sugli spalti e sui campi d’erba della classe operaia. Ideatore e sceneggiatore della miniserie è Julian Fellowes, il fortunato creatore di Downton Abbey, la famosa serie tv inglese che racconta la vita nella residenza del conte di Grantham nel primo dopoguerra.
La storia si concentra su tre personaggi realmente esistiti: un giovane lord, Arthur Kinnaird, centravanti degli Old Etonians, che impone ai conservatori della Federazione la svolta “professionistica” (ne diventerà poi il presidente fino alla sua morte), Fergus Suter, praticamente il primo pallone d’oro della storia, scozzese, che accetta per soldi di giocare con il Blackburn Olympic guidandolo alla vittoria, e mister Cartwright, imprenditore tessile, proprietario della squadra di calcio del Blackburn, che capisce per primo le potenzialità del business del pallone.
La storia si svolge nella Inghilterra vittoriana di Fellowes, che abbiamo tanto amato in Downton Abbey. Ne ritroviamo le atmosfere, il contrasto tra i troppo ricchi e potenti e i troppo poveri, le nobili dimore con maggiordomi e cameriere personali e le case dei poveri, tuguri dove è difficile addirittura scaldarsi. In questa serie emergono due nuove problematiche: la tragica condizione femminile di sfruttamento e di abbandono, soprattutto rispetto alla dimensione della maternità e della scarsa tutela dell’infanzia disagiata; e la dimensione della lotta di classe, che trova nelle lotte operaie nell’industria tessile durante un periodo di crisi, lo sfondo in cui si colloca la storia della Coppa.
Il racconto da questo punto di vista appare decisamente sfasato rispetto alla storia reale, visto che proprio nel 1883 moriva a Londra Karl Marx e la lotta di classe era già da un pezzo organizzata in una dimensione politica ben oltre le lotte salariali. Troviamo anche delle citazioni che rimandano ai Peaky Blinders di Birmingham, ma in questo caso c’è molta meno violenza e criminalità.
Per gli appassionati del football dobbiamo aggiungere solo che – proprio adesso che ci mancano le partite del fine settimana – ci sono anche interessanti spunti di storia del calcio: dal pallone in cuoio scuro alle divise (a un certo punto nasce addirittura una piccola start-up che produce magliette in tessuto speciale), dalle discussioni sulla tattica fino al primo fallaccio da espulsione, che manda uno degli attaccanti all’ospedale. La storia ripercorre con una certa fedeltà l’esito dei tornei del 1882 e del 1883, anno in cui per la prima volta trionfò al Kennington Oval di Londra proprio una squadra operaia.
Come ogni volta che torniamo agli albori delle cose che amiamo, anche in questo caso rischiamo di commuoverci al solo pensiero di quanto eravamo più buoni. E ci rattrista vedere quanta strada è stata fatta in un secolo e mezzo per ritrovarci a tifare per un grande sport, ma ormai senza ideali e senza passioni.