Barry Allen, il giovane e sorridente Flash, umano protagonista della storia, ha – come tutti – i suoi problemi di famiglia: la madre morta ammazzata e il padre in prigione, accusato ingiustamente del delitto.
Il povero Barry, nonostante i superpoteri, non sembra avere quello di salvare il padre… ma forse forse… pensandoci bene… viaggiando nel passato, sarebbe mai possibile cambiare il tragico corso degli eventi? Tentar non nuoce. Ed ecco che Barry, correndo come un fulmine all’indietro, sposterà l’ordine delle cose, cambiando il presente ma anche il futuro. Per ritrovarsi in un mondo minacciato dal generale Zod ma senza l’indispensabile Superman, suo acerrimo nemico. Riuscirà, insieme a Batman, a sistemare le cose?
Muschietti! Chi era costui? È il regista argentino divenuto noto per l’inquietante horror La madre, prodotto da Guillermo del Toro e i due volumi di IT, recente versione cinematografica del best seller di Stephen King. Lo vediamo alle prese con il suo primo film supereroico, per il quale diventa uno zelante interprete dei cliché di genere, in versione contemporanea. Questo significa condensare in quasi due ore e mezza di film un vorticoso succedersi di eventi, dominato da luci, rumori, gesta eroiche, inseguimenti, missioni impossibili, catastrofi imminenti, personaggi bidimensionali con problemi familiari a carico e, nel nostro caso, anche un manipolo di character, perché uno non basta più.
Accanto a Flash troviamo Batman, Superman, Wonder Woman e naturalmente il cattivone Zod, generale kryptoninano tra i più temibili dell’universo DC. Che si misura quotidianamente con l’altro iconico emisfero cineludico d’antan: quello firmato Marvel, oggi della Disney, firma prestigiosa degli Avengers.
Che dire di The Flash? Ci tocca cambiare parametri di giudizio perché il cinema dei supereroi è ontologicamente diverso. Non arte, non storia, non Cinema ma vaccino. È pillola lenitiva, tenera coccola, passatempo di consumo. È strumento sostitutivo di un massaggio rilassante, di un bavoso McMenu, di un tuffo dalla scogliera. È distrazione pura, fuga dal mondo crudele, pandemico, conflittuale, riscaldato, giudicante.
Non penso a nulla. Guardo, lascio fuoriuscire il bambino che c’è in noi, mi faccio possedere dal lungo e appassionante viaggio steroideo nel nulla colorato, che rianima il microchip della felicità ingenua. Terapia a basso costo.
The Flash ci conduce nel multiverso delle “intersezioni inevitabili”, nella finestra temporale tra passato, presente e futuro che ha illustri precedenti nel cinema (anche d’autore). Ci solletica il sogno inestinguibile di cambiare quello che non ci piace per scodellarci la morale salvacoscienza e antistress che ci ricorda che non tutti i problemi hanno una soluzione. E pace all’anima nostra.
Dopo esserci gonfiati di sogni improbabili nell’agguerrito mondo dell’Impossible is nothing ci siamo resi conto che forse è arrivato il momento di darci dei bravi, così come siamo, coi nostri limiti e la libertà di fallire.
The Flash, in fin dei conti, è comunque spettacolo, anche se un po’ mediocre. Videogioco al risparmio, con lampi di colore che strabuzzano le pupille, humor e battute in saldo per un supereroe umano, troppo umano da essere un grottesco protagonista di Comedy, belloccio e strappacuori.
Qualche bella trovata nell’orizzonte artificioso e standardizzato, qualche cameo da applausi in sala (no spoiler), qualche meritata risata e a casa, più sereni di prima. Pronti per la prossima volta, con Spiderman o La Sirenetta, che in fondo in fondo fa lo stesso.
Ho deciso: la prossima recensione la farò scrivere all’intelligenza artificiale. Vediamo se ve ne accorgete.
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