La quinta e penultima stagione di The Handmaid’s’s Tale ha un tema centrale: la rabbia. La nostra protagonista June Osborne, nei cui panni ritroviamo la bravissima Elisabeth Moss, non riesce a trovare pace una volta raggiunto il Canada e ritrovati il marito Luke e la piccola Nicole. La tormenta il senso di colpa di per aver lasciato a Gilead la prima figlia, rapita all’inizio della nostra storia e affidata a una delle famiglie più potenti del regime fascista che si è impossessato degli Stati Uniti, istaurando una dittatura misogina e teocratica.
La più importante serie distopica degli ultimi anni è tornata, dunque, ed è disponibile sulla piattaforma TimVision dal 15 settembre con un nuovo episodio a settimana. Il clima di angoscia che si respira nelle prime stagioni per la sorte terribile che è toccata alle donne cadute nelle mani del nuovo Governo americano permane anche dopo gli straordinari successi ottenuti sul campo da June, come quando ha organizzato la liberazione di duecento bambini che erano stati sottratti alle loro legittime famiglie riparate in Canada, o quando con un’ardita trattativa ha ottenuto un favorevole scambio di prigionieri tra 35 donne americane della resistenza e il capitano Fred Waterford. June, però, finisce per farsi giustizia da sola, uccidendo il capitano con la stessa ferocia subita per anni dai suoi aguzzini.
In realtà proprio la drammatica è controversa conclusione della quarta stagione ha procurato qualche “vantaggio”, soprattutto di immagine e sul piano comunicativo, al regime di Gilead. Lo capisce bene Serena Joy, la vedova di Waterford, interpretata dall’attrice australiana Yvonne Strahovski, che pretende e ottiene per il suo defunto marito dei funerali di Stato. Serena tenta di mettere in cattiva luce June agli occhi della stampa internazionale, essendo in fondo un’assassina, anche se sfuggita alla giustizia canadese. Serena, miracolosamente rimasta incinta, cova la vendetta, e riesce a colpire nel profondo dei suoi sentimenti June. Infatti, a sorpresa, durante i funerali trasmessi da tutti i telegiornali del mondo (in assoluto uno dei momenti più intensi dell’intera serie tv) mostra accanto a sé la figlia di June e di Luke, scatenando così in loro un nuovo desiderio di vendetta.
Tutto sembra spingere June ad abbandonare il Canada per tornare a Chicago e mettersi alla guida della resistenza. Non ha altra scelta se vuole tentare di liberare sua figlia. Del resto, ha avuto modo di raccogliere qualche segnale di presenza di una prima rete di partigiani, nata proprio dopo il successo delle sue azioni. Il ritorno alla lotta è la sola possibilità concreta per dare una risposta alla sua rabbia interiore. Il suo odio verso il regime e i suoi rappresentanti, che ora lei conosce molto bene, è cresciuto e la consuma come un fuoco.
Lo scontro tra le due donne – l’algida Serena e la donna moderna e democratica che è June – molto probabilmente ci accompagnerà per tutto il resto della stagione. Serena è ormai sola, ma rimane una donna molto astuta e intelligente. Sa che il suo futuro a Gilead dipenderà esclusivamente dalla possibilità di risposarsi. Tenta di farlo con il Comandante Lawrence, interpretato da Bradley Whitford, ma verrà respinta. Il regime vuole utilizzarla non aiutarla.
The Handmaid’s Tale rimane una delle serie più belle tra quelle prodotte in questi ultimi anni. Straordinaria la storia, straordinari i protagonisti, a cominciare dalla pluripremiata Moss e dal sempre più importante ruolo svolto da Whitford. Come spesso accade, una serie così lunga non solo dopo un po’ abbandona la sicurezza del testo del libro che gli ha dato vita, ma deve affrontare anche il rischio di qualche pausa di troppo o di qualche lungaggine, che possono causare un calo di tensione nel telespettatore. Ma di questi tempi, opere come queste hanno il pregio di conservare viva la capacità di farci immaginare i pericoli che corrono le nostre democrazie, pericoli inevitabili, proprio perché siamo democrazie.
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