Chissà come avrà reagito Spike Lee nel vedere The Harder They Fall, film Netflix diretto da Jeymes Samuel (musicista britannico all’esordio come regista) che mescola le istanze politiche del cineasta afro-americano con gli immaginari di Quentin Tarantino e della blaxploitation, politicamente molto distanti dal suo. Un incrocio però non così blasfemo, almeno a un occhio distante dalla cultura americana.



Samuel, assieme allo sceneggiatore Boaz Yakin, raccontano una tipica storia di rapine e vendetta sullo sfondo del lontano West, quella di Nat Love (Jonathan Majors) che a 11 anni si è visti far fuori la famiglia dal fuorilegge Rufus Buck (Idris Elba) e che qualche anno dopo mette su una banda per potersi vendicare di lui, il quale, per mano della sua gang, è stato appena fatto evadere per portare a termine un grande colpo.



The Harder They Fall decide di riappropriarsi dell’immaginario del western che ha praticamente sempre fatto fuori gli afro-americani e le donne, raccontando una storia in cui i bianchi praticamente non si vedono e in cui non c’è bisogno di inventare personaggi o cambiare loro provenienza, basta saper leggere tra le righe della storia, cosa che gli sceneggiatori fanno dedicando un film a veri personaggi che hanno segnato sotto traccia la mitologia del West, come Mary Fields (Zazie Beetz) che poi divenne Stagecoach Mary, la prima postina afro-americana, o Trudy Smith (Regina King), leggendaria rapinatrice in coppia con la sodale Molly.

Samuel prende la verità e, fordianamente, la tramuta in leggenda, lascia che il fondamento politico del film resti sullo sfondo, come pretesto e si dedica al puro intrattenimento, giocando sulla grafica, sui colori sfavillanti e poco western della fotografia di Mihai Mălaimare Jr., su spari ed esplosioni, sul gusto spaghetti del western e quello supereroico dei personaggi. Il gioco preso come tale può risultare anche simpatico, al netto di parecchie lungaggini non proprio ispirate (al contrario invece delle pause tarantiniane, che invece sono cariche, densissime), ma sembra così sprecare il proprio potenziale.

Non solo perché dentro questi personaggi e queste storie ci sono mondi e contesti che, se approfonditi, avrebbero potuto dire qualcosa anche agli spettatori contemporanei, mentre The Harder They Fall parla quasi solo ai cinefili frivoli, ma soprattutto perché del lavoro sui diversi universi estetici e narrativi che Samuel sonda si colgono solo gli aspetti superficiali, per non dire banali, quelli che qualunque emulo di Tarantino saprebbe fare (viene alla mente il pessimo L’uomo coi pugni di ferro, omaggio black a Kill Bill e affini): la violenza iperrealista, il ritmo ora convulso ora lasco, le scritte e le iperboli. Del cuore nero di un’epopea non resta nulla.

Magari non era intenzione di Samuel entrare dentro quell’epopea, magari voleva solo divertirsi e far divertire, ma allora sorge il dubbio che tutto il contesto razziale e culturale sia stato uno specchietto per le allodole, per mostrare un impatto che il film nega di continuo e farci cascare qualche critico, che scambia pose e strizzate d’occhio per il western visto dai neri. E questo, forse, farebbe arrabbiare Spike Lee ancora di più.

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