Nella cultura anglosassone dopo la rivoluzione industriale, quando le città sono diventate il centro pulsante di un impero, si è sviluppata un’attenzione a tratti ossessiva per il concetto di casa, non come luogo in cui vivere, ma come posto da curare per esprimere se stessi: una prova empirica di questa ossessione sono le decine di trasmissioni tv nate in Inghilterra dedicate all’arredamento d’interni, al giardinaggio, alle questioni igienico-logistiche dedicate alle abitazioni. Non sorprende quindi che sia uno studio di animazione inglese (Nexus) ad aver prodotto per Netflix un film come The House, che va a fondo e ribalta proprio l’idea di abitazione, senza necessariamente arrivare all’horror puro, anzi.
Il film consta di tre episodi legati proprio dalla casa, forse la stessa, nel passato, presente e futuro: nel primo (E dentro di me si tessero menzogne), una famiglia si trasferisce dall’umile casa in brughiera alla lussuosa abitazione di un misterioso signore che li ospita gratuitamente, ma al costo di un prezzo moto più alto; nel secondo (È smarrita la verità che non si può vincere), un topo sta per vendere la casa dopo averla ristrutturata a sue spese, ma le cose non vanno come vorrebbe e la situazione presto degenera; nel terzo (Ascolta bene e cerca la luce del sole), il mondo è praticamente sommerso e solo poche case sono rimaste a galla, qui una gatta cerca di riportare la casa agli antichi fasti, mentre i suoi inquilini progettano di andare via.
Scritti da Enda Walsh e diretti da Emma de Swaef, Marc James Roels, Niki Lindroth von Bahr e Paloma Baeza, i tre segmenti di The House sono tre variazioni su uno dei temi che causano il maggior quantitativo di stress e angosce negli esseri umani, ossia il trasloco e i lavori di ristrutturazione, e che quindi si lega a doppio filo con l’ossessione di cui parlavamo sopra, declinati secondo le sfumature del nero, come il gotico, il grottesco “kafkiano” e il distopico.
Realizzato con pupazzi animati poi a passo uno, il film parte da una ricca tradizione letteraria per rileggerla con un lavoro sulle atmosfere a tratti impressionante, oscuro e angosciante senza mai cadere nell’orrore, suggerendo l’oppressione dei personaggi grazie al contrasto con la loro fisionomia tenera, di pupazzi pensati per essere carini, ma protagonisti di storie tutt’altro che infantili. E in queste storie, i registi e lo sceneggiatore, oltre a giocare con luoghi comuni e mitologie domestiche, usano la suddivisione in episodi per fare un discorso più aperto, che proprio nella progressione di toni trova il suo sviluppo: con i tormenti dei personaggi e le sensazioni dello spettatore che passano dal racconto di paura a tormenti più esistenziali, il film – ed è indicativo che lo abbia scritto un solo sceneggiatore – dispiega una riflessione su cosa significa in fondo quella casa a cui tutti sembrano inchiodati, cosa c’è nascosto dietro alla mania delle carte da parati, le tende, i complementi, le rifiniture e la loro cura morbosa, ovvero la paura delle novità, il dilemma a volte letale tra partire e restare, tra cambiare la propria vita e cercare invece di migliorarla.
Fuori dagli schemi consolidati di molta animazione anche per adulti (per trovare una cupezza e una tristezza latenti in quasi ogni inquadratura bisogna risalire al cinema underground), The House mostra la sua maestria a budget limitato con leggerezza, nonostante gli argomenti, creando un ponte oscuro e lievemente malsano tra il mondo dei bambini e quello degli adulti, portando gli spettatori nella condizione perturbante di sentirsi a proprio agio di fronte alle figure che vedono e poi a star male per ciò che accade loro.
È un modo curioso, affascinante e riuscito di usare l’animazione, che rende il film seducente anche grazie al lavoro di un magnifico gruppo di attori britannici a doppiare in originale i pupazzi, da Helena Bonham-Carter a Miranda Richardson, da Jarvis Cocker (che canta anche sui titoli di coda) a Matthew Goode. Ed è anche spiazzante vedere un film del genere, con questo mood, su Netflix, una piattaforma che del costringere la gente a casa, sul divano, semi-ipnotizzata ha fatto la sua fortuna.
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