Se non fosse stato per Donald Trump, a The Hunt forse non sarebbe stato troppo credito: invece, dopo le dichiarazioni del Presidente americano a ridosso di un paio di stragi compiute ad agosto, in piena campagna promozionale, in cui la pellicola veniva legata a quelle stragi, Universal decise di rinviarne l’uscita facendo parlare di film “censurato”. Ora che il film è uscito – in Italia direttamente on demand – si può constatare la totale assenza di legame tra questo film e quelle stragi. E soprattutto la sua sostanziale inespressività cinematografica.



Diretto da Craig Zobel e prodotto da Blumhouse, The Hunt racconta di un gruppo di ricchi liberal politicamente correttissimi che rapisce dei redneck della destra alternativa Usa (complottisti, razzisti, populisti, malati di internet) per dar loro la caccia, come fossero maiali. Nick Cuse e Damon Lindelof riprendono per l’ennesima volta La pericolosa partita del racconto di Connell e la adattano al sottobosco della politica contemporanea cercando di colpire il cerchio della sinistra “radical chic” e la destra degli odiatori seriali e dei webeti.



Uno scontro che Zobel ricalca anche negli elementi di una messinscena “neo-classica” (le musiche di Nathan Barr, le scene di Matthew Munn) che si scontra con l’action di serie B, l’eleganza della satira e la violenza più triviale: ne viene fuori una sorta di allungatissimo sketch del Saturday Night Live (in cui giustamente si sfottono più i democratici dei cafoni, essendo quello di “sinistra” il pubblico di riferimento), in cui il ribaltamento dei punti di vista e della narrazione di ragioni e torti dovrebbe essere un modo per capire lo scontro socio-culturale in atto non solo in America, tanto che il film cerca anche di allargare lo sguardo all’Europa.



The Hunt però fa un’estrema confusione tra cause ed effetti, tra chi attacca e chi difende, spaccia il suo qualunquismo per satira e la sua goliardia splatter fuori tempo massimo per umorismo, inoltre Zobel non ha neanche la stoffa tecnica per rendere il gioco davvero divertente: come in un film di quelli che andavano diretti in home video, qui le cadute di ritmo sono costanti, l’azione rallenta spesso e quando c’è due volte su tre è di cattiva fattura.

Per non dire di come Zobel giochi continuamente a strizzare l’occhio allo spettatore in un girotondo auto-referenziale che è l’esatto contrario di uno sguardo satirico, che invece dovrebbe fare riferimento a ciò che è fuori il film stesso, a cui allude: si pensi al modo vacuo in cui per due terzi di film si cerca di nascondere l’identità di Athena, la leader del gruppo di ricchi cacciatori, o all’assoluta idiozia del finale.

The Hunt è un fallimento su quasi tutta la linea, a partire dall’idea di procedere per successive sorprese tutte svelate con almeno un’inquadratura di anticipo per il puro gusto di una meta-ironia stantia. Forse negli Stati Uniti qualcuno si può pure divertire: dargli un senso da questa parte dell’oceano sembra un po’ più difficile.